venerdì 3 agosto 2007

ROCKFEST 2007

Eccoci di nuovo qua, imperterriti, a presentare una nuova edizione (la nona!!!) di ROCKFEST, nonostante i mille problemi di carattere economico ed il semi-boicottaggio dell'amministrazione comunale che elargisce pesantemente alle associazione amiche lasciando a noi "COMUNISTI" solo le briciole. Anche quest'anno però, il cartellone è di tutto rispetto spaziando in lungo ed in largo per le varie sfumature del rock.
Apre la serata del 4 agosto il gruppo dei Crisedelia: provengono da Viterbo, suonano come se si trovassero a Seattle; si esibiscono nel ventunesimo secolo, ma è come se fossero ancora immersi in un eterno 1991. Per chi non l’avesse ancora capito, i Crisedelia propongono grunge, senza tanti fronzoli e compromessi. Poi sarà la volta di
Elena Vittoria, cantautrice bergamasca intimista e reale, armata di una sei corde, detective acuta su passioni, rabbie e femminilità incomprese. A chiudere le danze delle band emergenti ci penseranno le Dressed to Kill originale quartetto femminile di Pescara, che partendo dai grandi nomi del rock si cimenta in un metal che ha poco del cosiddetto gentil sesso e molto dell’hard rock, grinta e rabbia. Headliners della serata saranno i PORNORIVISTE, band formatasi nel 1994 a Venegono Superiore (VA), sono considerati una delle punk rock band più famose d'Italia. Insieme a gruppi come Derozer, Punkreas, 200 Bullets, Shandon, Moravagine, Peter Punk con le loro sonorità orecchiabili e l'immediatezza dei loro testi sono presto diventati tra i protagonisti di una scena punk rock italiana tanto seguita da una miriade di adolescenti e non, quanto criticata dai puristi del genere.
La seconda serata sarà aperta dal
Cesare Livrizzi Trio: catanese di nascita ma bolognese d’adozione, Cesare Livrizzi presenta un questo piccolo demo, in cui le sue storie, filtrate da un approccio cantautoriale che guarda con vivo interesse alle esperienze di artisti quali Waits, Cave, Fossati, De Gregori, De André e Cohen, cercano una via d’uscita dai sotterranei del suo passato, alla ricerca di un pubblico che sappia custodirle con cura. Seguono i Destinincrociati, band di Ascoli Piceno autrice di un ottimo pop-rock fruibile ed orecchiabile. E poi sarà la volta del potente e viscerale rock-blues dei JUNGLE FEVER, la band del nostro amico Andrea. Non ci poteva essere una band migliore x spianare la strada a quello che sarà, con ogni probabilità, la sorpresa più gradita per il pubblico del Rockfest: l'esibizione dei CHEAP WINE: testimoni di un rock che in Italia non esiste, se non ad un livello molto underground, La band dei fratelli Diamantini ha alle spalle dieci anni di carriera e soprattutto un pugno di dischi a cui non difettano né il tiro né il peso specifico: strada facendo le loro canzoni sono andare focalizzandosi sul cosiddetto “dark side”, arrivando a produrre album a tema come “Crime stories”, “Moving” e il nuovo “Freak show”. Un esempio di come fare rock nel nostro paese: ostinati, determinati e liberi. A differenza di tanti pseudo-colleghi Marco Diamantini & Co. non si sono fatti limitare dalle loro influenze (americane) né da alcuna estetica. Il loro è un approccio personale, integro, indipendente che avrebbe da insegnare a molta della cosiddetta musica indie.L’ultimo disco, “Freak show”, è forse il più motivato dei loro lavori, perché va ad investigare la realtà esterna uscendo allo scoperto e puntando metaforicamente il dito contro un mondo impazzito: “Pagliacci impazziti e bambole di pezza attendono / il meteorologo per sapere da che parte tira il vento / I banditori, nei bassifondi della città, annunciano il Freak Show / Troppi coccodrilli prendono posto là dove scorrono le lacrime / Ecco a voi il Freak Show! / Il leone piange perchè ha perso la sua corona d’oro / Adesso sembra un grosso gatto che vaga senza meta come un folle barbone / Ecco a voi il Freak Show! / Il giocatore d’azzardo si sente perduto e chiama l’ultima mano / ma la sua stella della fortuna sta precipitando al suolo / Ecco a voi il Freak Show!”.In virtù di questa personalità i Cheap Wine si sono costruiti uno zoccolo di fans in aumento e hanno riscosso apprezzamenti anche all’estero, ma siamo sicuri che meriterebbero di più. Se non li conoscete, procuratevi i loro dischi: potete trovarli nei negozi di dischi (almeno nei pochi rimasti in giro) o sul loro sito www.cheapwine.net a prezzo davvero “cheap”.Anche questo fa rock, quello vero.
A chiudere la nona edizione del rockfest ci penseranno i VALLANZASKA: nati nel 1991 come cover band, tra gli altri, dei Madness, cominciano ben presto a scrivere pezzi propri e sono ormai considerati una delle ska band più famose d'Italia. Nel 1994 esce il loro primo album autoprodotto, Otto etti di ottagoni netti, successivamente ristampato con l'aggiunta di alcuni pezzi live. Negli anni successivi vengono molto apprezzati, ta nto che il secondo album Cheope, uscito nel 1998, è subito un successo e alcune canzoni (su tutte, l'omonima Cheope) sono tuttora molto ballate nelle discoteche italiane. Per l'uscita del loro terzo disco, Ancora una fetta, dobbiamo aspettare il 2001, ma possiamo vedere come si siano preparati con questo lavoro a presentarsi al grande pubblico: vengono infatti girati due video, Licantropite e Loris & Efrem, che però non avranno molto successo in tv. Discreto successo che invece otterrà il video di Sì sì sì no no no, video estratto dall'omonimo album, uscito nel 2004. Tra l'altro la canzone diventerà anche sigla di Super Ciro, con un lieve adattamento nel testo (Ciro sì, Ciro no).
Il loro ultimo disco è uscito il 19 maggio 2007 e si intitola Cose spaventose.
Buon Rockfest a tutti e speriamo che non piova. Cazzo, sono docici mesi che non piove.

THE MOJOMATICS - Songs for faraway lovers (2006)


Nel mondo della musica ci sono cose inspiegabili, difficili da accettare, troppo assurde. Una di queste è il perché i Mojomatics, duo veneziano di rock-blues con i controfiocchi, sia conosciuto in mezza Europa mentre in Italia poco: solo di recente è uscito il loro secondo cd, miscela esplosiva del meglio della musica del diavolo. Forse sono troppo forti per l’Italia… Dico grazie alla giovane label indipendente di Cremona I Dischi de La Valigetta per aver colmato la lacuna, regalandoci dodici pezzi di autentico uccidi-coda che consiglio a tutti. Consiglio a tutti nella forma cd e pure nella forma live, in uno dei molti appuntamenti che Mojomatt (Guitars, Vocals, Harmonica) e Davmatic (Drums, Percussions) hanno in programma. Occhiali neri alla Blues Brothers e spirito punk-rock'n'roll nelle vene, con riferimenti che vanno da Chuck Berry ai Rolling Stones, senza dimenticare il primo Bob Dylan, i Beatles i Byrds, Eric Clapton e, per rimanere ai giorni nostri, The Hormonauts. Un cd che sembra un vinile, con pezzi veloci ma per niente banali, dove spesso e volentieri spuntano l’armonica e l’hammond. La mia canzone preferita è Liquor Store Blues, dalla ritmica pulsante e da un organo con retrogusto malinconico, ma anche le altre 11 sorelle sono irresistibili.Fate uscire l’Italia dalla provincia: ascoltate Songs For Faraway Lovers. One of the best italian rock'n'roll band.

Tracklist:
01 . Why don't you leave me
02 . No place to Go
03 . Right or Wrong
04 . Leave this Town
05 . The Last Train
06 . I'll be back Home
07 . That night in 1939
08 . Stealin' Stealin'
09 . Liquor Store Blues
10 . A fall on the Floor
11 . Hard Travelin'
12 . The Riverside

THE SHINS - Wincing the night away (2007)


new wave inglese (Smiths, Echo & The Bunnymen) che flirta con un pop ricco molto stile 'Pet Sounds' dei Beach Boys, ma anche con i REM del primo periodo. In 'Sea Lips' si avvicinano addirittura a Beck. Questo disco è leggermente più cupo dei precedenti, synth e tastiere guadagnano la stessa importanza delle chitarre. Sono pochi i gruppi che hanno la capacità di scrivere 11 perfette canzoni pop su 11 tracce in un solo LP. Sono pochi anche quelli che, facendolo, riescono a inserire qualcosa di particolare, significativo, caratterizzante, in ogni pezzo. Che sia una melodia, uno strumento, una parte del testo, un ritmo di batteria, o qualunque altra cosa. 'Wincing The Night Away' è la consacrazione di James Mercer e soci nel gotha dell'indie americano, e la conferma definitiva che gli Shins, finché esisteranno, non faranno mai niente di brutto. Provare, per credere, a sentire la seconda parte di 'Sleeping Lessons' (quando parte la chitarra), 'Australia', 'Turn On Me' e 'Phantom Limb', ma anche una qualsiasi di tutti e tre i loro dischi. La consacrazione di James Mercer e soci nel gotha dell'indie americano, e la conferma definitiva che gli Shins non faranno mai niente di brutto

PROTAGONISTI:
James Mercer (voce, chitarra)
Dave Hernandez (basso)
Marty Crandall (tastiere)
Jesse Sandoval (batteria).

Tracklist:
1. Sleeping Lessons
2. Australia
3. Pam Berry
4. Phantom Limb
5. Sea Legs
6. Red Rabbits
7. Turn On Me
8. Black Wave
9. Spilt Needles
10. Girl Sailor
11. A Comet Appears


sabato 21 luglio 2007

SON VOLT - The search (2007)


Okemah and the Melody of Riot, aveva evidenziato che il nuovo corso artistico dei Son Volt, rinati nel 2005 dopo l’avventura come solista del leader Jay Farrar, più che proseguire sulla strada dell’alt-country si sarebbe sempre più indirizzato verso la ricerca musicale. Non è casuale dunque che il loro nuovo album si intitolo The Search, quasi a voler sottolineare il vero inizio di questo nuovo percorso musicale. Aperto dall’affascinante ballata iniziale Slow Hearse in cui brilla l’intreccio tra piano e sitar, il disco svela una sorpresa dietro l’altra, si va dalle atmosfere vicine al sound della Stax con The Picture con tanti di fiati in grande evidenza, all’ alt-rock di Action, passando per splendide ballate come Underground Dream e Adrenaline and Heresy. Splendida sul finale Highways And Cigarettes, una ballata soulful cantata in duetto con la bravissima Shannon McNally, che suggella magnificamente un album tutto da ascoltare. Il disco è disponibile in versione deluxe con tre bonus track e su I-Tunes in versione deluxe con tutte le outtakes.
Salvatore Esposito

Track list:
1. Slow Hearse
2. The Picture
3. Action
4. Underground Dream
5. Circadian Rhythm
6. Beacon Soul
7. The Search
8. Adrenaline And Heresy
9. Satellite
10. Automatic Society
11. Methamphetamine
12. L Train
13. Highways And Cigarettes
14. Phosphate Skin

Componenti del gruppo:
Jay Farrar (vocal, guitar, harmonica)
Dave Bryson (drums)
Derry deBorja (keyboard)
Andrew Duplantis (bass, backing vocal)
Chris Masterson (guitar).

SPOON - Ga ga ga ga ga (2007)


Spoon: le eterne promesse dell'indie americano sono ancora qui a riprovarci, senza però avere modificato il suono marchio di fabbrica della band. La base per i brani è infatti più o meno sempre la stessa: chitarre acustiche, riff di pianoforte mai esagerati e ritmo che si mantiene costante senza grandi scossoni.
Eppure, rispetto alle prove precedenti, si nota un'attenzione maggiore agli arrangiamenti e alle sonorità: "The Underdog" è un gioiello pop che è facile prevedere non avrà il successo che si merita, nel quale fra le "solite" chitarre spuntano addirittura trombe e tromboni; per fortuna la pretenziosità di alcuni brani del discreto "Gimme Fiction" è scomparsa per lasciare posto a canzoni più semplici che esaltano le qualità compositive di Daniel. Le partiture orchestrali che appesantivano le ultime composizioni qui vengono messe decisamente in secondo piano in una quasi-ballata come "Black Like Me", così come si fanno apprezzare le suggestioni soul di "Don't You Evah".
Dopo tanti anni di attività non ci si poteva certo aspettare rock rabbiosi alla Pixies come quella "Don't Buy the Realistic" che apriva "Telephono" all'incirca dieci anni fa; eppure "Don't Make Me A Target" prosegue più che degnamente la tradizione indie-pop della band texana, affrontando con la solita classe e ironia un tema delicato come la politica e la sicurezza al giorno d'oggi. "The Ghost of You Lingers" è il capolavoro del disco: il caratteristico cantato di Daniel si inserisce su un riff di pianoforte da brividi, creando un'atmosfera malinconica e oscura, resa ancora più tetra dall'uso di più linee vocali sovrapposte e dal particolarissimo testo ("Put on a clinic till we hit the wall / Just like a sailor with his wools beat soft / The ghost of you lingers and leaves"). "You Got Yr Cherry Bomb" è la più dolce e orecchiabile delle dieci canzoni incluse e per una volta, più che i Pavement, sembra di ascoltare una rilettura di Elvis Costello (rendendo finalmente evidenti tutte le influenze anni 70-80 già presenti sin dai tempi di "Stay Don't Go"), riuscendo nel tentativo assai meglio dei più incensati Decemberists al tempo di "Picaresque"; "My Little Japanese Cigarette Case" è l'ideale proseguimento di "My Fitted Shirt" ed è comunque il brano più vicino agli esordi, mentre "Finer Feeling" si fa ricordare per il ritornello pur senza essere ruffiana o scontata, come nella migliore tradizione di "Girls Don't Tell".
Tutto sommato quindi, nonostante una durata piuttosto breve (36 minuti), di più non si può proprio chiedere agli Spoon: per l'ennesima volta ci regalano un album praticamente senza punti deboli, che garantisce numerosi ascolti e con picchi compositivi davvero insoliti per degli artisti sulla scena da oltre dieci anni. Bisogna soltanto sperare che questa volta la formula sia quella giusta: e sarebbe un vero peccato se "Ga Ga Ga Ga Ga" non venisse apprezzato come merita.

tracklist
1. Don't Make Me A Target
2.The Ghost Of You Lingers
3.You Got Yr. Cherry Bomb
4.Don't You Evah
5.Rhthm And Soul
6.Eddie's Ragga
7.The Underdog
8.My Little Japanese Cigarette Case
9.Finer Feelings
10.Black Like Me

Members:
Britt Daniel
Jim Eno
Rob Pope
Eric Harvey

lunedì 16 luglio 2007

SMASHING PUMPKINS - Zeitgeist (2007)


Lo scioglimento degli Smashing Pumpkins nel 2000 arrivava a conclusione di un ciclo di grandi successi, che li aveva segnalati come una delle più influenti band degl’anni novanta. La decisione di Billy Corgan e soci era stata dettata da motivi diversi, primo fra tutti (o meglio quello ufficiale) perché la band ormai mal sopportava il dilagante successo dei divi pop da classifica su cui i discografici stavano puntando sempre di più. In effetti erano maturi i tempi perché ogni componente della band prendesse la sua strada, di lì a poco Billy Corgan e Jimmy Chamberlin fondarono gli Zwan (band durata il tempo di un disco per successo scarsissimo), Melissa Auf Der Maur (bassista che sostituì D’Arcy Wretzky) debuttò come solista, e James Iha continuò le sue innumerevoli incursioni musicali (vedi l’ultimo album degli America).
Dopo l'uscita di The Future Embrace, debutto solista di Corgan, sembrava ormai tramontata definitivamente l’era degli Smashing Pumpkins essendo questo disco completamente immerso in atmosfere vicine alla new wave degl’anni ottanta. Invece come un lampo durante la promozione del disco arrivò la notizia che Corgan, presto sarebbe tornato sui suoi passi, riportando in vita il marchio degli Smashing Pumpkins. Così all’inizio della scorsa estate, Billy Corgan e l’inseparabile Jimmy Chamberlin, si sono ritorvati in studio con i produttori R.T. Backer e Terry Date, per cominciare a dare forma al disco, senza però James Iha e Melissa Auf Der Maur, entrambi completamente focalizzati sulle rispettive carriere soliste. Quando si è diffusa tale notizia si è alzato il classico polverone che evidenziava come questa reunion “fittizia” era un ulteriore segno della crisi artistica in cui versava Billy Corgan.
Dopo aver ascoltato Zeitgeist, questo il titolo del disco, ci piace smentire tutto ciò, in quanto a partire dalla copertina, disegnata da Shepard Fairey, si svela sin da subito una cifra artistica ben definita e sicuramente ben lontana dagli sbandamenti new wave o quelli pseudop alternative pop degli Zwan. E’ giusto partire proprio dalla copertina che raffigura la Statua della Libertà che affonda in un mare rosso sangue mentre sullo sfondo sorge il sole, e dal titolo che in tedesco significa “Spirito del tempo”, per trovare il filo conduttore di questo disco. Billy Corgan mette in musica i nostri tempi, l’attualità che circonda che il nostro pianeta affondare tra guerre, disastri ecologici e indifferenza generalizzata. A partire dall’iniziale e apocalittica Doomsday Clock fino alla sinfonia ironica di Pomp and Circumstances, Zeitgeist riflette chiaramente un sound rinnovato e rinvigorito ma allo stesso tempo si pone in perfetta linea con l’ultima produzione degli Smashing Pumpkins. C’è il gothic metal del grande singolo Tarantola e della splendida Bleeding The Orchid e non manca nemmeno qualche ritorno di fiamma per i new wave di Cure e New Order in Neverlost e For God And Country. Brano migliore del disco è la strepitosa United States in cui Corgan urla “Revolution!” e sfoga la sua rabbia in più di nove minuti di grandi chitarre e cambi di tempo. I tempi di Mellon Collie and Infinite Sandness sono lontani ormai, ma siamo certi che se questa dovesse essere la rinascita degli Smashing Pumpkins, il futuro per loro sarà sicuramente radioso.
Salvatore Esposito

Track list
1. Doomsday Clock
2. 7 Shades of Black
3. Bleeding the Orchid
4. That¹s the Way (my Love is)
5. Tarantula
6. Starz
7. United States
8. Neverlost
9. Bring the Light
10. (Come on) Let¹s Go!
11. For God and Country
12. Pomp and Circumstances

WHITE STRIPES - Icky thump (2007)


The White Stripes are back with the most explosive and revolutionary album they’ve ever produced! While revealing the band's roots in American folk music, Icky Thump brings together garage rock, every blues style of the past 100 years, nouveau, and flamenco.
Era tanta l’attesa per Icky Thump, il nuovo album dei Whithe Stripes e tutti attendevano al varco Jack White in attesa di un suo cedimento artistico ma lui è uno che non sbaglia un colpo e così eccoci di fronte all’ennesimo ottimo disco. Gli ingredienti sono i soliti di sempre per i White Stripes, ovvero grandi riff di chitarra, sound asciutto e senza concessioni ai fronzoli eppure in questo nuovo album si respira una enorme ventata di novità. Innanzitutto si ha la sensazione che per la prima volta i White Stripes siano una band e non uno schermo artistico per il solo Jack, poi dal punto di vista sonoro si apprezza una cura estrema per i dettagli e gli arrangiamenti e in questo senso va letto l’uso insospettabile di una cornamusa e di innumerevoli altri strumenti. All’ascolto Icky Thump ha tutta l’aria di essere il disco di riferimento per i White Stripes vuoi per la sua antologicità di generi musicali vuoi per la scrittura dei singoli brani mai così alta. Il disco si apre con la title track, un vero e proprio inno all’hard rock degli anni settanta con tanto di tastiere prog in bella evidenza, e prosegue con un uno due di grande potenza sonora prima con lo sgembo glam rock di You Don't Know What Love Is (You Just Do as You're Told) poi con lo sferragliante rock blues di 300 M.P.H. Torrential Outpour Blues. La sperimentale Conquest dal repertorio di Patti Page, riletta qui come se dovesse far parte di una colonna sonora di un b-movie con tanto di tromba a rimarcare la provenienza vintage, apre ad una serie di altri brani spiazzanti come l’hard rock di Bone Broke, la particolare folk ballad per chitarre acustiche e cornamusa Prickly Thorn, But Sweetly Worn e il southern rock di Rag and Bone. Più fuori fuoco appiono Little Cream Soda e Effect And Cause ma è solo un dettagli visto che sul finale arriva il vero capolavoro A Martyr For My Love For You, ballata rock dal particolarissimo appeal. Se era necessaria una conferma per i White Stipes, Icky Thump lo è a buon diritto, è probabile però che solo in futuro si riuscirà ad apprezzare la reale genialità di Jack White e dei suoi Stripes.
Salvatore Esposito

Track List:
01) Icky Thump
02) You Don't Know What Love Is (You Just Do As You're Told)
03) 300 M.P.H. Torrential Outpour Blues
04) Conquest
05) Bone Broke
06) Prickly Thorn, But Sweetly Worn
07) St. Andrew (This Battle Is In The Air)
08 ) Little Cream Soda
09) Rag And Bone
10) I'm Slowly Turning Into You
11) A Martyr For My Love For You
12) Catch Hell Blues
13) Effect And Cause


martedì 10 luglio 2007

CATFISH HAVEN - Tell me (2006)


Ecco cosa non aspettarsi da un’etichetta come la Secretly Canadian: i Catfish Haven. Sembra proprio che i tre ragazzi di Chicago non vogliano sentire parlare di raffinatezze indie, sonorità post ecc.: loro fanno soul! Le loro canzoni sono sudate, vissute, sputate fuori, raccolte da terra e risuonate. Tell me si lascia un po’ di rock alle spalle rispetto al precedente ep Please Come Back e aggiunge quel tanto di rhythm’n’blues che dà respiro e completezza sia alla voce intensa e potente del cantante George Hunter che all’intero album, anche attraverso un uso limitato ma elegantemente distribuito di elementi tipicamente black come i cori gospel e l’organo.
L’influenza dei Creedence Clearwater Revival è ancora presente in molti pezzi (I Don’t Worry, Another Late Night) ma in questo disco i Catfish Haven riescono a dare un senso e a contestualizzare il loro sound con una certa naturalezza (l’etichetta è pur sempre quella di gente come Damien Jurado o Jason Molina) rendendolo appetibile e assolutamente non fuori luogo (anche se probabilmente fuori moda) nel “delicato” catalogo Secretly Canadian. Molti storceranno il naso, io preferisco tapparmelo e lasciarmi travolgere dall’eccitante impeto di queste dieci raffiche swamp rhythm’n’blues, innanzitutto perché sono irrestibili e, in secondo luogo, perché possono essere considerate come esempi di onestà e originalità in un panorama musicale ormai colmo di revival rock usa e getta e copia e incolla.
Insomma, mi piace pensare che Wilson Pickett e Otis Redding non si stiano rivoltando nella tomba, o almeno, non per colpa dei Catfish Haven…

Tracklist
1. I don't worry
2. Tell me
3. Crazy for the leaving
4. All I need is you
5. Down by your fire
6. Another late night
7. If I was right
8. Grey skies
9. Let go (Got to grow)
10. This time

THE MUGGS - The Muggs (2005)


The Muggs are still the self-proclaimed "ugliest band in the world," and they're damn proud of it. It would appear as if a proudly ugly band compensates with a gloriously beautiful sound. While vocalist Danny Methric sounds uncannily like Axl Rose, and while you'll spend a few minutes scanning the liner notes for Jimmy Page's name, the band devises a character all its own by throwing down that for-the-love-of-the-music garage sound for which Detroit is famous. Each song delivers pounding hard-rock riffs, immaculate blues underpinnings, and superb percussion from Matt Rost, with "'Monster'" and "Should've Learned My Lesson" emerging the indisputable winners. The Muggs is capped off with "Doc Mode," a seven-minute-plus epic memorable (much like the album's 10 other songs) for a guitar solo in which you'll become blissfully lost.The Muggs disappoints in variety. At nearly 50 minutes, the record offers very little outside of its simple and pure roots - roots that are enjoyable, yet stylistically restrictive. One might pick the nit that the instrumental "Underway" would be better served as a mid-album intermission than a final-stretch decrescendo, but when one starts complaining about track order, it becomes obvious that there isn't all that much to complain about. Fans of blues-rock: Get to jammin'… The Muggs are the real deal.
TRACKLIST:
1 Need Ya Baby
2 Gonna Need My Help
3 Rollin' B-side Blues
4 Monster
5 Should've Learned My Lesson
6 White Boy Blues
7 Hard Love
8 Said & Done
9 Underway
10 If You Please
11 Doc Mode

sabato 7 luglio 2007

THE BLACK KEYS - Magic potion (2006)


I Black keys, araldi del più fiero e sanguigno Rock-Blues sfornano il quarto album, e lo fanno in grande stile, con un album in cui la bruttezza della copertina è inversamente proporzionale al sublime del contenuto. Gente Degna della stima più incondizionata i Black Keys, se ne fottono di qualsiasi moda, rifiutano qualsiasi vezzo tecnologico o ruffianità di sorta e riescono a scatenare una guerra termonucleare armati solo di una chitarra elettrica e di una batteria, ma che chitarra e che batteria! Con questo album la sensazione che i due siano ormai simbionti con i rispettivi strumenti è netta, riuscendo però ad evitare gli inutili onanismi in cui molti (troppi) adepti della scuola hendrixiana sono caduti. Il duo dimostra oramai una maturità artistica indiscutibile, presentando una scaletta al limite della perfezione, i cui suoni non si discostano troppo dagli episodi precedenti, eccezion fatta per una maggiore pulizia, ma è doveroso dirlo: questo non è un difetto. Anche se ci propinano sempre la stessa minestra, viene da pensare che sarebbe bello ce ne fossero di più di minestre così saporite… Canzoni come Your Touch, You’re The One, Strange Destre, o Goodbye Babylon suonano come classici istantanei, ed è forse proprio per questo che i Black Keys non sono mai stati e mai saranno “the next big thing”: troppo classici per un mercato attuale, in particolare quello “sotterraneo”, che vive alla continua ricerca dell’ultima stranezza. Così ecco i cosidetti palati fini strapparsi i capelli per cazzate tipo le pippettes e lasciar passare sotto silenzio un album come questo. Parlare di capolavoro sarebbe eccessivo , visto che comunque questo disco sarebbe potuto uscire benissimo 30 anni fa, ma un 8 non glielo leva nessuno.

Tracklist:
1 Just Got to Be
2 Your Touch
3 You're the One
4 Just a Little Heat
5 Give Your Heart Away
6 Strange Desire
7 Modern Times
8 Flame
9 Goodbye Babylon
10 Black Door
11 Elevator

THE RAKES - Ten new messages (2007)


“dieci nuovi messaggi” dei Rakes, quartetto inglese formatosi nel 2004 e subito associato ai Bloc Party e Franz Ferdinand, virano con decisione verso i primi anni ottanta, saccheggiando a piene mani quelli che sono ancora oggi i numi tutelari dell’indie britannico. Le atmosfere cupe di Cure e Joy Division, il disincanto degli Smiths di Morrissey e un’affettazione di fondo che attraversa tutte le canzoni di Ten New Messages sono fattori meritevoli di considerazione; convincente esempio della coolness indossata con noncuranza dai quattro londinesi è il titolo scelto per il brano The World Was A Mess, But His Hair Was Perfect (“il mondo era incasinato, ma i suoi capelli erano perfetti”), brano d’apertura di Ten New Messages e colonna sonora, in una versione estesa di ben 15 minuti, delle sfilate di moda della celebre maison Dior Homme. Dopo l’anemica Little Superstitions tocca ai cori di We Danced Together, sospinta da una sezione ritmica semplice ma scattante, ravvivare l’atmosfera. Trouble e Time To Stop Talking sono gli altri due episodi più energici, grazie ai loro riff di chitarra tesi e alla batteria sempre in primo piano. I cori di Suspicious Eyes ricordano quelli sentiti nel recente singolo dei Bloc Party The Prayer. In generale insomma un buon secondo album, diverso in senso positivo dal debutto, che conferma la bontà di una band come i Rakes, che seppur molto meno enfatizzati in determinati magazines e riviste rispetto alla concorrenza, han dimostrato sul campo di avere tutte le carte in regola non solo per essere migliori di altri, ma di poter essere più che degni portavoce di un movimento e di un genere musicale che, per colpe forse altrui, in parte è stato sputtanato. Il concetto principale e più importante dietro questi dieci nuovi messaggi a mio parere è proprio questo.

Tracklist:
01.The World Was A Mess But His Hair Was Perfect
02.Little Superstitions
03.We Danced Together
04.Trouble
05.Suspicious Eyes
06.On A Mission
07.Down With Moonlight
08.When Tom Cruise Cries
09.Time To Stop Talking
10.Leave The City And Come Home

La band:
Alan Donhoe (Voce)
Matthew Swinnerton (chitarra)
James Hornsmith (basso)
Lasse Petersen (batteria)

DEE RANGERS - So far out so good (2002)


If you need to get hold of some great music for your weekend party, this is it. Total satisfaction guaranteed!"(Nordic Nick, Rocket 95.3)
"These four Stockholm guys is still another wonderful alternative to sort in among the other holders of the rock'n'roll roots." (Björn Bostrand, Länstidningen Östersund)
"Dee Rangers has got the passion, the energy, the talent and the songs necessary to do the garage rock justice."(Stefan Malmqvist, Svenska Dagbladet)
"Beat and brain from Sweden anno 2002. That is the best description of the Dee Rangers album. A band close to my heart. And live they are a sensation - let the Swedes come! Let my sideburns grow long." (Willem de Kort, Music Minded 02)
"Dee Rangers is masters of their genre and everybody who are into Fratrock, 60's R'n'B, Soul, Power Pop, Punk and Boogie will be enthusiastic: shake yer ass!"(Andreas Kohl, Visions)
"One both becomes nostalgic and grow lyrical." (Jonas Bryngelsson, Hifi & Musik) "This is killer shit. Any garage hound needs this." (The Rawk)
"Violently good garage rock. It sounds Stones, it sounds Kinks, it sounds Sonics. It sounds real dirty 60's garage rock'n'roll from the Swedish quartet Dee Rangers."(Eskilstunakuriren)
"Pure straight rock'n'roll that comes from the heart. You're served 12 tracks that quite simply rocks incredible." (Stefan Arnesson, Propeller)
"It oozes rock'n'roll and it's hard to sit still, it's actually really blasting." (Jenny Övragård, hooy!) "Dee Rangers are far from being new-coining and wants no more than to turn the clock back to the golden year of 1966."(Nicke Boström, 101)
"A delicious mix of the best rhythm & blues and sixties punk. The sound is brilliant, and forces you too turn the cover and look for the date too believe it's recorded now." (Carlos Iglesias, Iron Skies, May 2002)
"These 12 tunes are pure and intense satisfaction providing bashers and stompers, who will surely enlighten or even ablaze in any wild weekend bar-b-Q your trying to get in shape."(Bowy, UpYours, juni 2002)
"The 12 potentional singles are remarqable compositions, all possesing an indispensable little melody that enters the ear to stay in your head. Old school rock n' roll on the rocks!"(Laurent Levy, SDZ 12)
"Holy smokes, if this doesn't make you wanna get up and shake your ass I don't know what's wrong with you!" (Facecrimson zine, May 2002)
"Rip roaring feel good garage racket with a thundering growl vocal and tasty harmonica up front; like The Fleshtones on fire." (Thrust webzine, May 2002)
"The quartet delivers their 50's & 60's riffs with authencity and contagius energy." (Michel Bilodeau, Cyberpresse)
"it is a solid effort of soulful garage rock. The songs are catchy, well played and well recorded without being too slick." (Ben Kweller, Pop On Top)
Dalla Svezia, una delle più potenti garage-bands in circolazione. Questo è il loro debutto: nel suo genere, un masterpiece (Chiapaneco)
Tracklisting
01. Total Despair
02. Baby Come Home
03. Gotta Move
04. Please Come Back To Me
05. A Lot Of Fun
06. Out Of Orbit
07. Way Out Of Line
08. Ultimate Expansion
09. Get Out Of My Mind
10. Jungle Limo
11. My Lawn Is Green
12. I Can't Understand

lunedì 2 luglio 2007

FASCISTI VIGLIACCHI


E'ovvio: c'è il leader dell'opposizione che stravede per queste forze di estrema destra, caratterizzate da quel culto della personalità che fanno sentire Berlusconi il nuovo Duce d'Italia.Ci dialoga, ci fa le manifestazioni insieme e ci fa pure un'alleanza elettorale.Non stiamo parlando dei partiti della destra italiana, quelli populisti, made in Libero, rappresentati da ForzaItalia e AlleanzaNazionale: stiamo parlando dei partiti neo-fascisti, quelli che non dovrebbero neppure esistere vista la loro incostituzionalità. Ma Berlusconi se ne frega, e ci va a braccetto, sempre, in ogni occasione.E purtroppo ieri sera, queste forze neofasciste, si sono sentite autorizzate a fare un irruzione a Villa Ada, a Roma, al termine del concerto rock del gruppo «Banda Bassotti», avventandosi con dei bastoni contro alcuni ragazzi. Il bilancio dell'aggressione, sembra di matrice politica, è di due feriti. Una spedizione punitiva, compiuta da militanti - circa 150, raccontano i testimoni - del movimento di estrema destra, che si sono presentati in colonna gridando "Duce! Duce!", con i volti coperti da caschi, armati di bastoni, catene e coltelli. A scatenare il panico tra le persone presenti al concerto, inserito nella manifestazione «Roma incontra il mondo», è stato anche il lancio di alcuni petardi. Gli aggressori, che urlavano slogan di destra, si sono avventati sulla folla «classificata come comunista» colpendo chiunque capitasse loro a tiro. Pestaggi e scontri sono proseguiti anche all'arrivo piuttosto immediato delle forze dell'ordine. Il tutto è accaduto attorno all'una della notte. VERGOGNA.

Si può essere comunisti, si può essere di sinistra, con varie sfumature che vanno dalla militanza al cattocomunismo. Si può essere cattolici, liberali, socialisti, ma una cosa deve accomunare tutti gli italiani: l’antifascismo.L’antifascismo non è un valore anacronistico come vogliono farci credere. Non è una questione di destra o di sinistra.Viviamo in un clima di emergenza nazionale, voluto e propagandato dalla CDL. Il pericolo comunista viene sbandierato quotidianamente, per motivi elettorali. Poi qualche idiota decide di passare all’azione.Ci sarà sicuramente qualcuno che bollerà la cosa come una ragazzata. Ci sarà chi parlerà di opposti estremismi, trascinando nel fango anche la sinistra. Già lo fanno, quando attaccano i parlamentari vicini ai No Global. Si paragona l’antifascismo all’anti comunismo e non si fa invece rispettare la Costituzione che mette al bando il fascismo, eppure c’è una legge apposita, la legge Scelba.
Sembra che i picchiatori a Roma fossero di Forza Nuova. Un piccolo partito tutt’altro che clandestino. Un partito che ha stretto alleanze con la Mussolini e si è presentato alle elezioni del 2006 con la CDL, in Alternativa Sociale. E allora chi sono gli estremisti? Non penso che ci siano partiti simili a sinistra. Rifondazione e PdCI hanno accettato la democrazia da sempre, altro che il pericolo comunista sbandierato dal nano mafioso. Eppure si continua a parlare di sinistra radicale e di sinistra estrema, che di radicale e di estremo non hanno proprio nulla.Io attendo dalla destra una condanna ferma e senza “se” e senza “ma” dell’accaduto. Condanne esemplari per la squadraccia che ha compiuto questo gesto infame.

NINE BLACK ALPS - Everything is.....(2005)


Suonare grunge a Manchester è un po’ come mangiare polenta e brasato ai Caraibi. C’è chi lo fa, d’accordo, ma è inutile sottolineare quanto sia insolito e impopolare avventurarsi in iniziative del genere. Da una parte, il rischio che il popolo indie-alternativo ti volti le spalle è tremendamente alto; dall’altra, le prospettive di una digestione tranquilla all’ombra di una palma si allontanano inesorabilmente. Ma gli inglesi, si sa, sono capaci di tutto, anche di presentarsi a torso nudo fra gli spalti nelle più gelide nottate calcistiche che possiate concepire: per non parlare di quelli che amano sguazzare nelle fresche acque di Brighton, magari verso sera, spesso addirittura a mezzanotte. Perché allora non cimentarsi nel genere di Kurt Cobain? Del resto, quella del rock corposo e scatenato è una pista che – grazie ai Vines – è ancora fresca e attuale. Certo, Craig Nicholls non ha dovuto confrontarsi con un paese che, musicalmente parlando, è sempre stato in competizione con gli Stati Uniti. E non ha dovuto nemmeno fare i conti con una città come Manchester, legata a doppio filo a generi tipicamente britannici come il baggy e il britpop. Crescere a pane e Nirvana nei dintorni dell’Hacienda è come tradire la propria moglie, o - se preferite – rinnegare d’un colpo le proprie origini. Insomma, mettetela come vi pare, giratela come meglio credete. Il fatto è che un gruppo come i Nine Black Alps sa tanto di pesce fuor d’acqua. Che, nonostante tutto, riesce a cavarsela egregiamente. Merito di un album (questo Everything Is) denso e vigoroso quanto basta, nonché del lavoro di cesellatura di Rob Schnapf, già consigliere massimo di Foo Fighters e dei sopra citati rocker australiani. Il debito nei confronti di Seattle e dei capelloni in camicia di flanella, tuttavia, è enorme: episodi eccellenti del calibro di Shot Down riescono a malapena ad avvicinarsi alla purezza (e alla bellezza) di quel periodo, consegnando nelle mani dell’ascoltatore un prodotto genuino e onesto ma tremendamente mediocre nei confronti di capisaldi come Nevermind. Oddio, oggettivamente questa non è una colpa né tantomeno un demerito: c’è chi nasce con la camicia e chi invece è costretto a lavorare sulla propria persona. E poi, sinceramente, oggi come oggi ci si accontenta anche di poco, e cioè di prodotti senza infamia né lode, buoni per un’estate o poco più. Di rivoluzioni neanche l’ombra, di generazioni afflitte e desiderose di un nuovo leader maximo musicale neppure. I Nine Black Alps non sono i Nirvana, ovvio. Nessuno vorrebbe assumersi tale responsabilità, come nessuno – dalla parte di chi ascolta – è disposto ad accettare una nuova figura carismatica. I tempi che corrono, perlomeno dalla nostra prospettiva, sono troppo floridi e felici perché qualcuno arrivi e ci tratti a pesci in faccia, facendoci la morale e mettendoci a nudo. Prima di arrabbiarsi con il New Musical Express per l’ennesima sòla che ci ha rifilato, ritengo sia utile riflettere su quanto detto finora, ovvero sul cambiamento sociale che sta subendo la musica: da forza trainante a semplice passatempo.In quest’ottica, l’esordio discografico di questi ragazzi è una prova alquanto dignitosa. Avanti così, perciò. Marcello Pelizzari

Tracklist:
1. Get Your Guns
2. Cosmopolitan
3. Not Everyone
4. Unsatisfied
5. Headlights
6. Behind Your Eyes
7. Ironside
8. Shot Down
9. Just Friends
10. Everybody Is
11. Intermission
12. Southern Cross

Componenti del gruppo:
Sam Forrest - guitar playing and singing.
James Galley - drumming and singing.
Martin Cohen - bass
David Jones - guitaring and bassing.

CAMERA OBSCURA - Let's get out of this country (2007)


Il difficile terzo album impone un bilancio alle band che lo raggiungono, esige un elenco di obiettivi raggiunti, sottintende il peso specifico aggiunto della maturità. E se ciò non è sempre vero in un genere bambino come l'indiepop, va detto che i Camera Obscura non sono mai stati una band come le altre. Il personalissimo percorso seguito dalla band scozzese ha spesso eluso le aspettative, stregando con singoli di calibro (del recente "Lloyd, I'm ready to be heartbroken" abbiamo parlato poco tempo fa) mentre perseguiva insondabili rivisitazioni retro tra le pieghe degli album."Let's get out of this country" fa - di nuovo e meglio - esattamente questo, concedendosi al desiderio del titolo: guarda all'America e la rivisita attraverso il suo filtro soporifero con la massima naturalezza. Come un incrocio tra i Mojave 3 di "Excuses for travellers" e i vecchi Belle & Sebastian, gente che ha a sua volta abbandonato la nazione dopo averne esplorato prati e marciapiedi.In un simile esercizio di fantasia lo sguardo dei Camera Obscura mantiene tuttavia il disincanto che gli è consono, custodisce la propria malinconia (in "Dory Previn" e nella dolente "Country Mile") senza disperderla in spazi aperti. Se la compattezza del suono approssima per difetto quella dei Concretes – complice il produttore Jari Haapalainen – la musica conserva tutte le suggestioni e i ricordi cari alla band, che si rintana in una locanda e prende in prestito la fisarmonica dei Cowboy Junkies per un ballo lento alla luce delle candele ("The False Contender"), poi accende i riflettori sul palco e inscena un gioioso numero Motown ("If Looks Could Kill"). Come e più del precedente "Underachievers", Let's Get Out Of This Country si diverte a ricostruire un passato immaginario e idealizzato, guardando un po' più in alto della linea dell'orizzonte; un anelito che procede in felice armonia con il cantato di Tracyanne, la cui esposizione di sentimenti travolge il femminile edulcorato (perchè di norma tradotto da/per orecchie maschili) proprio della musica pop. Ecco, se l'escursione musicale dei Camera Obscura rimane in larga parte ancora indecifrabile, dal punto di vista lirico la maturazione della band appare ormai completa: le difficoltà di comunicazione di "Eighties Fan" lasciano il posto ad un'esplicita richiesta di attenzione (il singolo "Lloyd, I'm Ready to Be Heartbroken") prima che l'ermetica e ambigua vulnerabilità della cantante abbia il sopravvento.
Dopo lo stupore e l'entusiasmo dei primi due album, i Camera Obscura dichiarano concluso il tempo delle sorprese con un disco bello e semplice. E alla fine pare proprio che per loro il difficile terzo album non sia stato poi così difficile.

Tracyanne Campbell - Vocals, Guitars
Gavin Dunbar - Bass
Lee Thomson - Drums
Kenny McKeeve - Guitars, Vocals
Nigel Baillie - Trumpet, Percussion
Carey Lander - Piano, Organ, Vocals

Track Listings
1. Lloyd I'm Ready To Be Heartbroken
2. Tears For Affairs
3. Come Back Margaret
4. Dory Previn
5. False Contender
6. Let's Get Out Of This Country
7. Country Mile
8. If Looks Could Kill
9. I Need All The Friends I Can Get
10. Razzle Dazzle Rose

venerdì 29 giugno 2007

FREAK SHOW by Cheap Wine

I pagliacci al potere. I mediocri in trionfo. Gli ultimi saggi, emarginati. I truffatori invidiati. Gli idioti esaltati. I millantatori applauditi. I criminali santificati. I colpevoli assolti. I dementi idolatrati. Gli ultimi onesti sbeffeggiati. I buffoni incensati. L'intelligenza torturata. La verità estinta. La falsità elargita. Gli assassini regnano. I fanatici decidono. I re sono nudi. Applaudi. Applaudi ancora. Il mondo è un unico, gigantesco, decadente Freak Show.

THE GREENHORNES - Sewed soles (2005)


Chiamarlo Greatest Hits sarebbe stato esagerato, ma in qualche modo Sewed Soles assolve perfettamente al compito di riassumere l'avventura dei Greenhornes.Tre album e una manciata di singoli condensati in una ventina di tracce, ecco qual è il biglietto da visita che i "pupilli" di Jack White e Brendan Benson esibiscono nella circostanza. Che a ben vedere - cioè ascoltare - può essere letta come una coloratissima cartolina dal Pianeta Popedelia, una suggestiva raccolta di scorci sonori d'antan, memorie beat, garage e psycho buone per tutte le stagioni.
Quelle del terzetto di Cincinnati danno l'impressione di indugiare soprattutto alle voci Big Star (Good Times, Stay Away Girl), Kinks (It's Not Real, It Returns) e Yardbirds (Shadow Of Grief e la ghost cover track di Lost Woman), ma giusto per circoscrivere l'area di un suono che qui torna a mostrarsi fresco, ruvido e scintillante proprio come quarant'anni fa.
La macchina del tempo nel rock funziona sempre a meraviglia.
Elio Bussolino

Tracklist:
1. It's Not Real
2. Pattern Skies
3. Lies
4. I've Been Down
5. Hold Me
6. Shadow Of Grief
7. No More
8. There Is An End
9. Shame & Misery
10. Can't Stand Stand It (Alternate Version)
11. Good Times
12. Too Much Sorrow
13. Don't Come Running To Me
14. Satisfy My Mind
15. It Returns
16. Stay Away Girl
17. Shelter Of Your Arms
18. The End Of The Night
19. Lovin' in The Sun

Componenti del gruppo
Craig Fox, Patrick Keeler, and Jack Lawrence

DRIVE BY TRUCKERS - A blessing and a curse (2006)


“Il suono continua ad essere quello di un rock vintage segnato da sporco blues e strambo country. Non si sono smarrite energie ed autenticità e le emozioni grondano grazie ad una serie di ballate che esaltano lo spirito fuorilegge del gruppo (…) un disco che non ha punti deboli, ha ballate memorabili e chitarre taglienti, momenti lirici e nervosi colpi assassini, cupi colori notturni e radiosi sprazzi di orizzonti americani, canzoni benedette e canzoni maledette. Un disco da vivere fino in fondo in tutti i suoi aspetti (4 stelle – Bollino Disco Consigliato)” (BUSCADERO)

DRIVE-BY TRUCKERS 2007: Mike Cooley, Patterson Hood, Brad Morgan, John Neff, Spooner Oldham and Shonna Tucker
Tracklist:
1. Feb 14
2. Gravity’s Gone
3. Easy On Yourself
4. Aftermath USA
5. Goodbye
6. Daylight
7. Wednesday
8. Little Bonnie
9. Space City
10. A Blessing And A Curse
11. A World Of Hurt/td>

mercoledì 27 giugno 2007

HOT HOT HEAT - Elevator (2005)




Elevator è un mistero. Dopo due mesi di ascolto approfondito, nei quali non ha fatto altro che crescere, non sono ancora riuscito a capire come possano questi quattro canadesi essere riusciti nell'impresa di creare una simile raccolta di brani pop (nel senso più spudorato del termine) senza mai risultare monotoni o patetici e anzi, aggiungendo una dimensione completamente nuova al termine, andando a mischiare new wave e power pop come nessuno era riuscito in precedenza.O ancora meglio: come nessuno aveva osato tentare, in precedenza. Sì, perchè ci vuole un certo coraggio, a costruire una carriera sul ritornello assassino: il rischio di sembrare ridicoli, infantili o ambedue le cose insieme è altissimo. Bisogna essere dei fenomeni, per aggirare ostacoli del genere.Ecco, per l'appunto: gli Hot Hot Heat sono fenomeni. Dopo aver lasciato intravedere di che pasta erano fatti un paio d'anni fa, con lo scintillante debutto Make up the breakdown, la curiosità sul seguito era davvero alta. La storia è piena di esempi di band che, dopo una partenza fulminante, hanno a poco a poco iniziato a rallentare i ritmi, con risultati alle volte interessanti (Idlewild) e alle volte deludenti (Stereophonics ). "Maturità", la chiamano. Ed era proprio questo il mio timore prima di inserire Elevator nel lettore cd per la prima volta, che gli Hot Hot Heat fossero diventati "maturi". E' con sommo gaudio che annuncio che le mie paure si sono rivelate infondate.Elevator è, se possibile, ancora più frizzante del suo predecessore. E' davvero difficile trovare punti deboli, perchè è fin troppo chiaro che ci troviamo di fronte ad un capolavoro del suo genere, un'inestimabile gemma power pop capace di risultare intrigante anche dopo numerosi ascolti, aspetto che è spesso il limite di album di questo tipo.Strutturalmente, è un disco molto compatto: Running out of time è irresistibile e vi farà saltare, Goodnight goodnight (la nuova Boys don't cry? Ai posteri l'ardua sentenza) è irresistibile e vi farà saltare, Ladies and gentlemen è irresistibile e vi farà saltare...[...]... Shame on you è irresistibile e vi farà saltare, la title track è irresistibile e vi farà saltare.Francamente, non c'è molto altro da aggiungere. La seconda fatica degli Hot Hot Heat ha nella semplicità la sua arma vincente, e spiegarlo con termini complessi sembra quantomeno fuoriluogo. Se siete in cerca di un album che vi accompagni nelle vostre notti insonni, solitarie e depresse, indirizzate altrove la vostra attenzione. Se invece ne cercate uno... uhm... come dire... irresistibile e che vi faccia saltare, Elevator potrebbe essere in grado di scatenare in voi istinti primordiali di cui neanche sospettavate l'esistenza. Riccardo "Mist" Bidoia
:: Tracklist ::
1 Introduction (0:17)
2 Running Out of Time (2:45)
3 Goodnight Goodnight (2:10)
4 Ladies and Gentleman (2:55)
5 You Owe Me an IOU (3:04)
6 No Jokes - Fact (0:39)
7 Jingle Jangle (3:55)
8 Pickin' It Up (2:34)
9 Island of the Honest Man (3:02)
10 Middle of Nowhere (4:01)
11 Dirty Mouth (2:44)
12 Soldier in a Box (3:05)
13 (Untitled Track) (0:04)
14 Shame on You (2:45)
15 Elevator (3:47)

Band Members:
Luke Paquin (Guitar)
Dustin Hawthorne (Bass)
Steve Bays (Vocals, Keyboards)
Paul Hawley (Drums)

martedì 26 giugno 2007

MILBURN - Well well well (2006)


Milburn sono l'ennesimo prodotto "made in UK" tutto ritmi alla Arctic Monkeys e ritornelli imprimibili e abrasivi senza troppi ascolti all'attivo. Autori di diversi singoli strappa-applausi ("Milburn EP" e "Showroom") e non troppo appoggiati da certa stampa specializzata in Inghilterra, i quattro provenienti da Sheffield (iniziano le similitudini con le scimmie artiche) regalano un cd fresco, veloce e sbarazzino.Non aspettatevi nulla di nuovo, ma nel loro rivangare quello che va di moda oggi riescono a lasciare nell'ascoltatore medio una sensazione positiva che non tutti sono in grado di creare. Qualcuno magari li avrà visti fare da gruppo di supporto agli Arctic Monkeys nella loro breve apparizione in Italia: inutile dire che assomigliano anche troppo ai cuginetti famosi, ma la cosa che risulta strana è capire perché gli Arctic Monkeys abbiano ricevuto un hype esagerato e i Milburn solo le briciole. In fondo i Milburn suonavano già prima che gli Arctic si facessero strada tra demo su internet e copertine targate NME: misteri del music business.Comunque, le dodici tracce che compongono questo breve lavoro sono di pregevole fattura. Send in the boys è una valanga in una giornata d'estate, con la batteria che dà colpi di grazia e la chitarra finisce il lavoro, Lipstick licking ne segue l'andazzo senza risultare un fac-simile, ma è What you could've won (ultimo singolo da poco uscito) che rimane la mia preferita: una dolcezza iniziale che si infiamma in un crescendo di batteria tanto crescente da entrarti dentro, sotto la pelle, e dettare i tempi del tuo cuore per poi riadagiarsi su una calma apparente in un testo fatto di incomprensioni amorose e di pene d'amore che ti fanno cadere senza speranza per terra.Insomma. qualche mese fa saremmo stati a parlare del nuovo miracolo UK; per fortuna o per sfortuna arrivano dopo gli Arctic Monkeys e forse mai nessuno si ricorderà di loro. Ed è davvero un peccato, perché l'altra faccia di Sheffield talento ne ha a sufficienza per conquistarvi.

Track List
1. Well well well
2. Showroom
3. Send in the boys
4. What about next time
5. Lipstick licking
6. Chesire cat smile
7. Stockholm Syndrome
8. Storm in a teacup
9. Last bus
10. Brewster
11. What you could've won
12. Roll out the barrel

PROTAGONISTI:
Joe Carnall (Bass, Lead Vocals)
Louis Carnall (Rhythm guitar, vocals)
Tom Rowley (Lead Guitar)
Joe Green (Drums).


THE STEEPWATER BAND - Revelation sunday (2006)



Vengono da Chicago, e forse non poteva essere che così. E dopo sette anni di lunga gavetta, centrano probabilmente il disco che li farà conoscere definitivamente. Garantiscono per loro i Deep Purple che li hanno voluti nel tour americano (ovviamente, zona Sud) dopo averli selezionati tra moltissime band. Alle loro spalle, Sean Slade e Paul Kolderie già con gli Uncle Tupelo, i Radiohead e le Hole, a garantire quel suono leggermente scuro e metallico, pur nell'ambito di una musica tradizionalista. Sapete quel suono sbilenco che avevano gruppi come i Pearl Jam nei loro episodi più "bluesy"? Ecco. Prendete una ballata come "Lot of love around": ha più il sapore di un Uncle Tupleo "easy version" piuttosto che di una band southern. Eppure, gli Steepwater, ballate a parte, sono capaci di un suono a tratti micidiale. Forse un po' trattenuto, per quello che suonano, ma micidiale. Pezzi come "indiana Line" sono puro assalto sleazy southern, quasi una Bad Company in versione moderna. Taglienti e strappati, molto molto yankee, slabbrati si ma entro i confini di un rock blues molto ascoltabile (una su tutte, Baby You're on your own", cadenzata, equilibrata e precisa). D'altronde, aprendo con una canzone come "Mercy" (una Train Kept A Rolling acida e magmatica) il confronto non poteva essere che con una band in grado di non stereotiparsi, nonostante si parlasse comunque di standard blues. Allman Brothers Band. Bad Company. Heartbreakers. Blues Rock. Di più non potremmo volere. Un gruppo che merita moltissima attenzione. Mario Ruggeri


Track Listings :
1. Mercy
2. Collision
3. Revelation Sunday
4. Lot Of Love Around
5. Dance Me A Number
6. Steel Sky
7. Government Graffiti
8. Halo
9. Slow Train Drag
10. Indiana Drag
11. Baby you're on your own


Componenti del gruppo
Jeff Massey-Vocals, Guitar

Tod Bowers-Bass
Joe Winters-Drums

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giovedì 21 giugno 2007

I Love You But I've Chosen Darkness - Fear Is On Our Side (2006)


Ghost pronuncia a fatica un “questo è quanto mi manchi”, mimandolo attraverso chitarre che si rincorrono senza mai raggiungersi e linee melodiche che anelano parallele verso due punti vicini e non intersecabili. E quando arriva According to Plan diventa chiaro una volta per tutte che a parlare sono i fantasmi della “blank generation” dei Joy Division e dei Bauhaus, gli scheletri nell’armadio dell’amore ai tempi delle tenebre, dei cuori immersi nei calamai; mentre a fare rumore sono i tuffi di testa negli arrangiamenti non necessariamente blog-friendly, quelli che con un lavorio incessante di punto-croce sulla tela dei suoni cuciono cappucci per nascondersi. We Choose Faces, ma non è poi vero: piuttosto, la decisione è correre via nella Forest dei Cure quasi citata in At Last Is All, perché finalmente è tutto, è finita? Forse lo è, ma la fine assomiglia sempre ad uno dei racconti dei New Order, uno in cui il comandamento da rispettare, l’unico, è essere romantici, girare a disagio nel caleidoscopio dei sentimenti con la testa che gira e lo stomaco in subbuglio, buttare la testa indietro "in a Dash", con fare finalmente esausto. Ti amo, anche se una particella avversativa arriva a spezzare l’armonia delle due parole più fatidiche ed insinua il dubbio. L’insoddisfazione. La complessità della scelta. Ti amo, ma ho scelto l’oscurità: Fear is On Our Side è il debutto del quintetto texano I Love You But I've Chosen Darkness. Un lavoro che per attitudine, onestà di poetica ed intensità sonora, spazza semplicemente via.

:: Tracklist ::
1. The Ghost
2. According to Plan
3. Lights
4. The Owl
5. Today
6. We Choose Faces
7. Last Ride Together
8. At Last Is All
9. Long Walk
10. Fear Is On Our Side
11. Untitled
12. If It Was Me

Il gruppo è formato da Ernest Salaz, Christian Goyer, Edward Robert, Tim White, con la successiva aggiunta del chitarrista Daniel Del Favero

SMALL JACKETS - Walking the boogie (2006)



C’è voglia di riscoprire le radici del rock targato 60’s e 70’s tra i gruppi italiani e lo dimostrano gli Small Jackets, che giungono al secondo album dopo l’interessante debut-album “Play at high level” di due anni fa. Il titolo “Walking the boogie (Go down Records) fa subito pensare al cosiddetto boogie-rock, un sound unico creato da storiche band dei primi anni ‘70 come i Faces, in cui militarono Rod Stewart e Ron Wood, e gli Humble Pie di Peter Frampton e Steve Marriott. Proprio al compianto Marriott che guarda Lu Silver, voce e chitarra ritmica degli Small Jackets, sin dall’iniziale “My surprise”. Una partenza fatta di rock’n’roll sanguigno e genuino, in evidenza la solista di Eddy Current e la solida sezione ritmica con Danny Savanas (drums) e Rob Tini (basso). Nella successiva “Forever night” ci sono due ospiti importanti, Nick Royale e Strings degli Hellacopters che scambiano gli assoli con Eddy Current. Con “Leave me alone” siamo dalle parti dei Deep Purple di “Hush” grazie all’Hammond di Dany Led. Tracce di organo anche nel notevole chorus di “If you don’t need” che spezza una robusta ritmica funky. Discorso a parte per “Wintertime”, con un lungo e delizioso break acustico nella parte centrale. Per un attimo sembra di viaggiare a bordo di un tour-bus sulla west-coast assolata, come nel film “Almost famous”. Gli Small Jackets dimostrano ancora una volta che in Italia ci sono gruppi di tutto rispetto, vedi Mantra OJM e Baby Ruth, che non hanno assolutamente nulla da invidiare ai colleghi esteri, basta solo ascoltarli e non avere preconcetti. Rock on!


Tracce: 01. My surprise
02. Forever night (special guess Nick Royale & Strings from The Hellacopters)
03. If you don't need
04. Leave me alone
05. Maybe Tomorrow
06. Wintertime
07. Born To Die
08. Heroes
09. Phoenix's Light
10. She Don't Care


Formazione:
- Lu Silver: voce, chitarra, harp
- Danny Savanas: batteria
- Eddy Current: chitarra
- Rob "Nobody" Tini: basso

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martedì 19 giugno 2007

FIVE HORSE JOHNSON - The mystery spot (2006)


Il richiamo del boogie si era fatto troppo assordante, continuava imperterrito da fine maggio e si è attenuato solo da poco con tre giri di The Mystery Spot. Il sesto album dei Five Horse Johnson è l'ennesimo ottimo lavoro southern partorito dai quattro provenienti dall'Ohio, hard-rock, blues, southern rock e chili e chili di feeling. Una miscela apparentemente semplice che si rileva invece vera e propria arte.Chitarre a tracolla, armonica in bocca e il santino degli ZZ Top versione "Tres Hombres" sul comodino e si parte felici per l'ennesima scampagnata portandosi appresso l'amico John Paul Gaster dei Clutch alla batteria.
Primo sostanzioso stop su Ten-Cent Dynamite, il riff Zeppeliniano sotto la calda voce di Eric Oblander elargisce spallate con ignorante foga. Un paio di curve ed inizia il rettilineo giusto per intonare un bel coro sul ritornello di Call Me Down facendo air-guitar con l'accendino a mò di slide.Potrebbero rattrappirsi le mani se si dovesse fare il verso immaginario sui chili di slide-guitars di The Mystery Spot, sono loro e l'armonica le prime donne stasera e i Five Horse Johnson portano le loro "damigelle" su un palmo di mano come fossero collegiali al primo ballo delle matricole.Niente lenti però, è il groove a farla da padrone persino nel sofferto blues di Drag You There.La presenza di Gaster lascia il segno impartendo un senso del ritmo con un timbro diverso da quanto finora sentito dai FHJ, più secco e deciso e anche certe backing vocals in Ten-Cent Dynamite o Keep Your Prize ricordano i Clutch.Onore alla tradizione quindi ma anche un certo tocco di irriverenza ruspante testimoniato da parti vocali focose, a tratti davvero rabbiose, e beffarde fanno di "The Mystery Spot" un disco dalle ottime vibrazioni, e tanto basta per meritarsi una doverosa segnalazione a chi ama il southern rock.


:: Tracklist ::
01.The Mystery Spot
02.Ten-Cent Dynamite
03.Call Me Down
04. ..Of Ditch Diggers and Drowning Men
05. Gin Clear
06. Rolling Thunder
07. Feed That Train
08. Keep Your Prize
09. Three Hearts
10. The Ballad of Sister Ruth
11. I Can't Shake It
12. Drag You There

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ELF POWER - Back to the web (2006)


Gli Elf Power sono di Athens, Georgia, la città natale dei R.e.m. A differenza dei colleghi concittadini non godono del sostegno di una grossa label, né sono impegnati in campagne democratiche di sensibilizzazione o tour mondiali. Tuttavia è da una decina d'anni che la band di Andrew Rieger si sta facendo largo nel difficile mercato indipendente Americano. Fin dal loro esordio i ragazzi, oggi sotto contratto con la nota Rykodisc, hanno raccolto consensi sia da parte della critica che da quel pubblico attento alle sonorità minimali da post-grunge. Negli anni l'itinerario sonoro della band è stato guidato dalle intuizioni di Rieger, personaggio oggi ispirato dal folk tradizionale, ma anche dal glam rock e dalla psichedelia. Le influenze maggiori giungono ora da Dylan e dai T.Rex, oltre che da quella gemma che è The Wall dei Pink Floyd. Le nozioni apprese dai capolavori di questi mostri sacri si riversano in Back To The Web, lavoro auto-prodotto e registrato con il sostegno di John Fernandes (violino), Jimmy Hughes (chitarra), Heather McIntosh (violoncello) e Josh Lott (batteria), oltre ai due membri storici Laura Carter e Brian Poole. L'obiettivo di Andrew Rieger è stato quello di assemblare un organico in grado di mascherare il folk in rock e pop. Il risultato è stato ottenuto combinando semplicemente il suono acustico delle chitarre con una buona sessione d'archi e una batteria coriacea. Questo processo ha portato a definire Back To The Web un disco di folk orchestrale, con evidenti venature pop. L'impatto di brani come An Old Familiar Scene, Peel Back The Moon, Beware!, 23rd Dream (nonostante l'andamento vivace, la più votata a The Wall) e la livida Forming è più che positivo e ripaga dei due anni di attesa: l'ultimo album risaliva infatti al 2004 (Walking With The Beggar Boys). E' proprio grazie ad estratti come questi (ai quali vanno aggiunte anche Come Lie Down With Me e All The World Is Waiting, altro estratto fortemente pop) che Back To The Web stacca di netto da alcuni lavori folk contemporanei, di colleghi diretti verso una eccessiva staticità musicale. Gradevole, talvolta scuro e discretamente organizzato, Back To The Web è davvero un folk orchestrale, con lievi riverberi gitani riscontrabili nella title track e in The Spider And The Fly. Nonostante il blasone dettato più dalla loro inclinazione "alternativa" e alcune frequentazioni trasversali (la band ha accompagnato in tour gente come Dinosour Jr., Guided By Voices e Wilco), gli Elf Power stanno ora percorrendo un sentiero tradizionale, battendo anche i luoghi del mainstream, come il South By Southwest Festival di Austin. (Carlo Lancini)
Tracklist:
1. Come Lie Down With Me (And Sing My Song)
2. An Old Familiar Scene
3. Rolling Black Water
4. King Of Earth
5. Peel Back The Moon, Beware!
6. 23rd Dream
7. Somewhere Down The River
8. The Spider And The Fly
9. Forming
10. All The World Is Waiting
11. Under The Northern Sky
12. Back To The Web

giovedì 14 giugno 2007

Fincantieri - una battaglia di sinistra

Fincantieri, l'assalto all'ultimo gioiello pubblico
Contro la quotazione in borsa e un piano industriale inadeguato, venerdì 15 sciopero e manifestazione nazionale a Roma. Indice la Fiom Cgil
Francesco Piccioni
Perché privatizzare una società leader globale nel suo settore e con i bilanci in attivo? Perché discutere separatamente, contro ogni consuetudine e logica, di piano industriale e collocamento in borsa? Perché, soprattutto, quotare in borsa una società strutturalmente a redditività molto inferiore ai tassi di interesse?Domande che la Fiom Cgil pone e che investono la scelta del governo su Fincantieri, che rappresenta il 43% del settore delle navi da crociera, oltre le commesse militari. Domande che hanno trovato rispondenza eccezionale tra i lavoratori del gruppo: più del 70% di loro ha firmato l'appello a Romano Prodi intitolato «Costruiamo belle navi, lasciateci continuare». Ma non è ancora finita. Firmano tutti: operai, impiegati, tecnici, quadri, ingegneri. Manca solo il cda. Ben oltre la quota di iscritti alla Fiom. E venerdì mattina, al termine dello sciopero generale di 8 ore, con manifestazione nazionale a Roma (da piazza Esedra a Santi Apostoli, alle 9,30) consegneranno l'appello e le firme al governo.Fim e Uilm hanno una posizione diversa. Ma sembra proprio che la stragrande maggioranza dei dipendenti abbia le idee chiare. Non credono affatto che sarà sufficiente - in caso di quotazione in borsa - che il Tesoro mantenga il 51%, perché tutti sanno che il mercato non ama le società «non contendibili» («è già stato fatto, all'inizio, con Alitalia; e sappiamo com'è finita», spiega il segretario generale Gianni Rinaldini). Né vengono confortati dall'interessamento delle banche («che non vanno a investire in qualcosa che rende meno; nessuna banca si comporta in questo modo»); anzi, sembra una conferma che, più delle navi, interessi il patrimonio immobiliare (i cantieri navali coprono aree molto vaste, ovviamente in luoghi-chiave della costa: Sestri Levante, Castellammare, Monfalcone).Il piano industriale prevede investimenti importanti (oltre 500 milioni) e proprio per trovare queste risorse, si dice, bisogna quotarsi in borsa. Ma nel piano non c'è traccia di ciò che servirebbe al rilancio: investimenti per bacini più grandi, visto che la tendenza è verso navi formato gigante. Il settore, a livello internazionale, ha triplicato la produzione in soli 5 anni (dai 20 milioni di tonnellate nel 2001 ai 58 del 2006): l'azienda dominante dovrebbe saperlo bene. Al contrario, il progetto di acquisizione di una cantiere «low cost» (in Ucraina, forse) implica un farsi concorrenza da soli, ossia delocalizzare; visto che al di fuori della fascia hi tech è impossibile battere la concorrenza asiatica («le navi, in fondo, si fanno ancora a mano»).C'è infine il fattore «sociale». La cantieristica presenta un altissimo indice come «moltiplicatore economico»: muove infatti più lavoro e più «filiere» di qualsiasi altro. Non a caso i comuni interessati, e soprattutto la Regione Liguria, hanno bocciato all'unanimità sia il «piano industriale» che il progetto di quotazione. Evidente che non c'entra nulla l'«ideologia conservatrice» della Fiom. Che un sassolino però se lo toglie: «di innovatori come Finmek - con Fulchir finito in galera, ndr - facciamo volentieri a meno»

Speriamo che questo governo cosiddetto di centrosinistra riesca nell'impresa di fare qualcosa "di sinistra"

LITTLE MAN TATE About What You Know (2006)


I Little Man Tate hanno tutto contro di loro. In primo luogo sono una rock band inglese nel senso più classico e tradizionale del termine, uno di quei tipici prodotti a base di innocuo rock chitarristico che l’industria musicale britannica fabbrica a ritmi vertiginosi per la gioia di riviste sempre più affamate, un gruppo che suona l’ennesima rimasticatura di vecchie e impolverate chincaglierie da mercatino delle pulci targate Kinks, Who e Jam, e rivendute a prezzo pieno come fossero nuove. In più, come se non bastasse, su questi Little Man Tate pesa l’imperdonabile aggravante di venire dalla fertilissima Sheffield, il che ormai comporta l’inevitabile accostamento ai più noti concittadini Arctic Monkeys e l’altrettanto inevitabile condanna a essere inseriti nella folta schiera dei gregari che vorrebbero ma non possono.Ma il bello è che i Little Man Tate tutte queste cose le sanno bene e meglio di chiunque altro, non per niente la canzone-manifesto che apre il loro disco di debutto gioca d’anticipo e s’intitola "Man I Hate Your Band", una mezza pinta di chitarre mod schiumanti e un ritornello avvitato su sé stesso che non lascia molto spazio a elucubrazioni o a compiaciuti intellettualismi e che conosce la combinazione esatta per liberare la curva di hoolingan maneschi e inferociti sepolta in ognuno di noi.Più che un disco, questo "About What You Know" somiglia a una sudatissima e appiccicosa lezione di educazione fisica a base di birra e sigarette. "Sexy Latin" e "European Lover" seguono la strada indicata da Oasis e Stereophonics, con giri melodici estremamente rudimentali e piacevoli affondi nei ritornelli che sembrano fatti apposta per amplificare l’apoteosi calcistica di folle ubriache e urlanti. "This Must Be Love" e "House Party At Boothy’s" innalzano, secondo una tradizione tipicamente albionica, un piccolo monumento poetico al mito dei venerdì sera trascorsi al pub sotto casa, tra slanci di rude orgoglio operaio innaffiato di birra e aspirazioni sessuali spesso frustrate.

Tracklist:
01 - Man I Hate Your Band
02 - European Lover
03 - Sexy In Latin
04 - This Must Be Love
05 - House Party At Boothy's
06 - Who Invented These Lists
07 - Court Report
08 - Little Big Man
09 - 3 Day Rule
10 - This Girl Isn't My Girlfriend
11 - Down On Marie

Componenti del gruppo:
Jon Windle - (Vocals & Guitar)
Maz - (Guitar)
Ben Surtees - (Bass)
Dan Fields - (Drums)


RUTHIE FOSTER - The phenomenal (2007)


Ruthie Foster's the newest voice in old-school soul. Her fifth album is a remarkable flashback to the genre's '60s and '70s heyday, framing her warm butter-and-cayenne-pepper singing with organ, electric piano, shimmering guitar textures, and strong backbeats. That sound, along with her strength as a song interpreter--rippling with beauty on Lucinda Williams's "Fruits of My Labor," stunningly emotional on Son House's cautionary Delta spiritual "People Grinnin' in Your Face"--and her fine-tuned social politics, makes Aretha Franklin, Roberta Flack, and Nina Simone reasonable artistic references. For the 42-year-old Texan, this historic approach is new. Until now she's been an obscure acoustic-guitar-wielding singer-songwriter. And, indeed, the evocative lyricism of her own tunes "Harder Than the Fall," "Heal Yourself," and "Beaver Creek Blues" is clearly the work of an experienced craftsperson. But the performances on this elegant album, made under the tutelage of imaginative and empathetic Austin-based producer Malcolm Welbourne, live up to its boastful title, and seem destined to bring Foster the larger audience she deserves.

Track Listing:
01 - 'Cuz I'm Here
02 - Heal Yourself
03 - Fruits Of My Labor
04 - People Grinnin' In Your Face
05 - Up Above My Head (I Hear Music In The Air)
06 - Harder Than The Fall
07 - Beaver Creek Blues
08 - Mama Said
09 - Phenomenal Woman
10 - A Friend Like You
11 - I Don't Know What To Do With My Heart

RADIO BIRDMAN - Zeno beach (2006)


Seminali iniziatori con i Saints della scena garage punk australiana, artefici di un’esplosiva miscela di Stooges, MC5, 13th Floor Elevators, sonorità surf e, non di rado, dilatazioni psichedeliche doorsiane, i Birdman ( formatisi nel 1974 ) del cantante Rob Younger e del chitarrista Deniz Tek tornano nel 2006 con un nuovo, inatteso e strepitoso album.“ Zeno Beach “ non è il risultato di una reunion motivata dallo sfruttamento economico del “ mito “ che ha avvolto sempre di più il gruppo negli anni, ma piuttosto l’inevitabile sbocco di un’energia creativa che negli anni non ha mai smesso di pulsare. Dai tempi di “ Living Eyes “, ultimo lavoro a firma Radio Birdman ( licenziato in patria nel 1978 e poi distribuito anche all’estero nell’81 ) prima dello scioglimento, i vari componenti del nucleo originario della band hanno continuato a diffondere il verbo del garage punk attraverso diverse formazioni*, fino al 1996, anno in cui la band torna ad unirsi per una serie di concerti che finiranno, l’anno successivo, nel live “ Ritualism “. Dopo alcuni cambiamenti nella line-up storica ( il bassista Warwick Gilbert e il batterista Ron Keeley lasceranno il posto a Jim Dickson e Russel Hopkinson ) la band licenzia lo splendido “ Zeno Beach “.E’ incredibile, assolutamente incredibile come tutti questi anni non abbiamo cambiato di una virgola l’irruenza selvaggia dei Birdman, che nelle tredici tracce dell’album suonano ruvidi e nervosi come ai tempi di “ Anglo Girl Desire “ e “ Murder City Nights “ e , in alcuni casi, forse addirittura più convincenti. “ Zeno Beach “ si apre con i riff abrasivi di “ We’re Come So Far ( To Be Here Today ) “, a cui fa seguito la potenza garage\ r&b di “ Connected “, il Detroit sound di “ Remorseless “ e il macabro voodobilly di “ Hungry Cannibals “, una creatura che si nutre di tremendi colpi di hammond e arroganti chitarre punk. Straordinari. Senza se e senza ma.Non manca la vena psichedelica che aveva caratterizzato gemme del passato come “ Descent Into the Maelstrom “ e “ Men With The Golden Helmet “: “ The Brotherood Of Al Wazah “ suona come un impetuoso magma garage blues che fluisce nei territori lisergici devoti al piano di Ray Manzarek, di cui il tastierista Philip “ Pip “ Hoyle si dimostra, una volta di più, il degno erede.Il surf punk di “ Zeno Beach “ chiude un ( altro ) album leggendario tra backing vocals solari ed acerbe impulsività giovanili.Da trent’anni gruppi come i Radio Birdman permettono al Rock di esistere per quello che è la sua essenza: ribellione, selvaggia, sincera, veemente, eterna.

TRACKLIST:
1. We’ve Come So Far(To Be Here Today)
2. You Just Make ItWorse
3. Remorseless
4. Found Dead
5. Connected
6. Die Like April
7. Heyday
6. See The Road
8. Subterfuge
9. If You Say Please
10. Hungry Cannibals
11. Locked Up
12. The Brotherhood Of AlWazah
13. Zeno Beach

Componenti del gruppo:
Jim Dickson - bass
Russell Hopkinson - drums
Pip Hoyle - keyboards
Chris Masuak - guitars
Deniz Tek - guitars
Rob Younger - vocals