sabato 21 luglio 2007

SON VOLT - The search (2007)


Okemah and the Melody of Riot, aveva evidenziato che il nuovo corso artistico dei Son Volt, rinati nel 2005 dopo l’avventura come solista del leader Jay Farrar, più che proseguire sulla strada dell’alt-country si sarebbe sempre più indirizzato verso la ricerca musicale. Non è casuale dunque che il loro nuovo album si intitolo The Search, quasi a voler sottolineare il vero inizio di questo nuovo percorso musicale. Aperto dall’affascinante ballata iniziale Slow Hearse in cui brilla l’intreccio tra piano e sitar, il disco svela una sorpresa dietro l’altra, si va dalle atmosfere vicine al sound della Stax con The Picture con tanti di fiati in grande evidenza, all’ alt-rock di Action, passando per splendide ballate come Underground Dream e Adrenaline and Heresy. Splendida sul finale Highways And Cigarettes, una ballata soulful cantata in duetto con la bravissima Shannon McNally, che suggella magnificamente un album tutto da ascoltare. Il disco è disponibile in versione deluxe con tre bonus track e su I-Tunes in versione deluxe con tutte le outtakes.
Salvatore Esposito

Track list:
1. Slow Hearse
2. The Picture
3. Action
4. Underground Dream
5. Circadian Rhythm
6. Beacon Soul
7. The Search
8. Adrenaline And Heresy
9. Satellite
10. Automatic Society
11. Methamphetamine
12. L Train
13. Highways And Cigarettes
14. Phosphate Skin

Componenti del gruppo:
Jay Farrar (vocal, guitar, harmonica)
Dave Bryson (drums)
Derry deBorja (keyboard)
Andrew Duplantis (bass, backing vocal)
Chris Masterson (guitar).

SPOON - Ga ga ga ga ga (2007)


Spoon: le eterne promesse dell'indie americano sono ancora qui a riprovarci, senza però avere modificato il suono marchio di fabbrica della band. La base per i brani è infatti più o meno sempre la stessa: chitarre acustiche, riff di pianoforte mai esagerati e ritmo che si mantiene costante senza grandi scossoni.
Eppure, rispetto alle prove precedenti, si nota un'attenzione maggiore agli arrangiamenti e alle sonorità: "The Underdog" è un gioiello pop che è facile prevedere non avrà il successo che si merita, nel quale fra le "solite" chitarre spuntano addirittura trombe e tromboni; per fortuna la pretenziosità di alcuni brani del discreto "Gimme Fiction" è scomparsa per lasciare posto a canzoni più semplici che esaltano le qualità compositive di Daniel. Le partiture orchestrali che appesantivano le ultime composizioni qui vengono messe decisamente in secondo piano in una quasi-ballata come "Black Like Me", così come si fanno apprezzare le suggestioni soul di "Don't You Evah".
Dopo tanti anni di attività non ci si poteva certo aspettare rock rabbiosi alla Pixies come quella "Don't Buy the Realistic" che apriva "Telephono" all'incirca dieci anni fa; eppure "Don't Make Me A Target" prosegue più che degnamente la tradizione indie-pop della band texana, affrontando con la solita classe e ironia un tema delicato come la politica e la sicurezza al giorno d'oggi. "The Ghost of You Lingers" è il capolavoro del disco: il caratteristico cantato di Daniel si inserisce su un riff di pianoforte da brividi, creando un'atmosfera malinconica e oscura, resa ancora più tetra dall'uso di più linee vocali sovrapposte e dal particolarissimo testo ("Put on a clinic till we hit the wall / Just like a sailor with his wools beat soft / The ghost of you lingers and leaves"). "You Got Yr Cherry Bomb" è la più dolce e orecchiabile delle dieci canzoni incluse e per una volta, più che i Pavement, sembra di ascoltare una rilettura di Elvis Costello (rendendo finalmente evidenti tutte le influenze anni 70-80 già presenti sin dai tempi di "Stay Don't Go"), riuscendo nel tentativo assai meglio dei più incensati Decemberists al tempo di "Picaresque"; "My Little Japanese Cigarette Case" è l'ideale proseguimento di "My Fitted Shirt" ed è comunque il brano più vicino agli esordi, mentre "Finer Feeling" si fa ricordare per il ritornello pur senza essere ruffiana o scontata, come nella migliore tradizione di "Girls Don't Tell".
Tutto sommato quindi, nonostante una durata piuttosto breve (36 minuti), di più non si può proprio chiedere agli Spoon: per l'ennesima volta ci regalano un album praticamente senza punti deboli, che garantisce numerosi ascolti e con picchi compositivi davvero insoliti per degli artisti sulla scena da oltre dieci anni. Bisogna soltanto sperare che questa volta la formula sia quella giusta: e sarebbe un vero peccato se "Ga Ga Ga Ga Ga" non venisse apprezzato come merita.

tracklist
1. Don't Make Me A Target
2.The Ghost Of You Lingers
3.You Got Yr. Cherry Bomb
4.Don't You Evah
5.Rhthm And Soul
6.Eddie's Ragga
7.The Underdog
8.My Little Japanese Cigarette Case
9.Finer Feelings
10.Black Like Me

Members:
Britt Daniel
Jim Eno
Rob Pope
Eric Harvey

lunedì 16 luglio 2007

SMASHING PUMPKINS - Zeitgeist (2007)


Lo scioglimento degli Smashing Pumpkins nel 2000 arrivava a conclusione di un ciclo di grandi successi, che li aveva segnalati come una delle più influenti band degl’anni novanta. La decisione di Billy Corgan e soci era stata dettata da motivi diversi, primo fra tutti (o meglio quello ufficiale) perché la band ormai mal sopportava il dilagante successo dei divi pop da classifica su cui i discografici stavano puntando sempre di più. In effetti erano maturi i tempi perché ogni componente della band prendesse la sua strada, di lì a poco Billy Corgan e Jimmy Chamberlin fondarono gli Zwan (band durata il tempo di un disco per successo scarsissimo), Melissa Auf Der Maur (bassista che sostituì D’Arcy Wretzky) debuttò come solista, e James Iha continuò le sue innumerevoli incursioni musicali (vedi l’ultimo album degli America).
Dopo l'uscita di The Future Embrace, debutto solista di Corgan, sembrava ormai tramontata definitivamente l’era degli Smashing Pumpkins essendo questo disco completamente immerso in atmosfere vicine alla new wave degl’anni ottanta. Invece come un lampo durante la promozione del disco arrivò la notizia che Corgan, presto sarebbe tornato sui suoi passi, riportando in vita il marchio degli Smashing Pumpkins. Così all’inizio della scorsa estate, Billy Corgan e l’inseparabile Jimmy Chamberlin, si sono ritorvati in studio con i produttori R.T. Backer e Terry Date, per cominciare a dare forma al disco, senza però James Iha e Melissa Auf Der Maur, entrambi completamente focalizzati sulle rispettive carriere soliste. Quando si è diffusa tale notizia si è alzato il classico polverone che evidenziava come questa reunion “fittizia” era un ulteriore segno della crisi artistica in cui versava Billy Corgan.
Dopo aver ascoltato Zeitgeist, questo il titolo del disco, ci piace smentire tutto ciò, in quanto a partire dalla copertina, disegnata da Shepard Fairey, si svela sin da subito una cifra artistica ben definita e sicuramente ben lontana dagli sbandamenti new wave o quelli pseudop alternative pop degli Zwan. E’ giusto partire proprio dalla copertina che raffigura la Statua della Libertà che affonda in un mare rosso sangue mentre sullo sfondo sorge il sole, e dal titolo che in tedesco significa “Spirito del tempo”, per trovare il filo conduttore di questo disco. Billy Corgan mette in musica i nostri tempi, l’attualità che circonda che il nostro pianeta affondare tra guerre, disastri ecologici e indifferenza generalizzata. A partire dall’iniziale e apocalittica Doomsday Clock fino alla sinfonia ironica di Pomp and Circumstances, Zeitgeist riflette chiaramente un sound rinnovato e rinvigorito ma allo stesso tempo si pone in perfetta linea con l’ultima produzione degli Smashing Pumpkins. C’è il gothic metal del grande singolo Tarantola e della splendida Bleeding The Orchid e non manca nemmeno qualche ritorno di fiamma per i new wave di Cure e New Order in Neverlost e For God And Country. Brano migliore del disco è la strepitosa United States in cui Corgan urla “Revolution!” e sfoga la sua rabbia in più di nove minuti di grandi chitarre e cambi di tempo. I tempi di Mellon Collie and Infinite Sandness sono lontani ormai, ma siamo certi che se questa dovesse essere la rinascita degli Smashing Pumpkins, il futuro per loro sarà sicuramente radioso.
Salvatore Esposito

Track list
1. Doomsday Clock
2. 7 Shades of Black
3. Bleeding the Orchid
4. That¹s the Way (my Love is)
5. Tarantula
6. Starz
7. United States
8. Neverlost
9. Bring the Light
10. (Come on) Let¹s Go!
11. For God and Country
12. Pomp and Circumstances

WHITE STRIPES - Icky thump (2007)


The White Stripes are back with the most explosive and revolutionary album they’ve ever produced! While revealing the band's roots in American folk music, Icky Thump brings together garage rock, every blues style of the past 100 years, nouveau, and flamenco.
Era tanta l’attesa per Icky Thump, il nuovo album dei Whithe Stripes e tutti attendevano al varco Jack White in attesa di un suo cedimento artistico ma lui è uno che non sbaglia un colpo e così eccoci di fronte all’ennesimo ottimo disco. Gli ingredienti sono i soliti di sempre per i White Stripes, ovvero grandi riff di chitarra, sound asciutto e senza concessioni ai fronzoli eppure in questo nuovo album si respira una enorme ventata di novità. Innanzitutto si ha la sensazione che per la prima volta i White Stripes siano una band e non uno schermo artistico per il solo Jack, poi dal punto di vista sonoro si apprezza una cura estrema per i dettagli e gli arrangiamenti e in questo senso va letto l’uso insospettabile di una cornamusa e di innumerevoli altri strumenti. All’ascolto Icky Thump ha tutta l’aria di essere il disco di riferimento per i White Stripes vuoi per la sua antologicità di generi musicali vuoi per la scrittura dei singoli brani mai così alta. Il disco si apre con la title track, un vero e proprio inno all’hard rock degli anni settanta con tanto di tastiere prog in bella evidenza, e prosegue con un uno due di grande potenza sonora prima con lo sgembo glam rock di You Don't Know What Love Is (You Just Do as You're Told) poi con lo sferragliante rock blues di 300 M.P.H. Torrential Outpour Blues. La sperimentale Conquest dal repertorio di Patti Page, riletta qui come se dovesse far parte di una colonna sonora di un b-movie con tanto di tromba a rimarcare la provenienza vintage, apre ad una serie di altri brani spiazzanti come l’hard rock di Bone Broke, la particolare folk ballad per chitarre acustiche e cornamusa Prickly Thorn, But Sweetly Worn e il southern rock di Rag and Bone. Più fuori fuoco appiono Little Cream Soda e Effect And Cause ma è solo un dettagli visto che sul finale arriva il vero capolavoro A Martyr For My Love For You, ballata rock dal particolarissimo appeal. Se era necessaria una conferma per i White Stipes, Icky Thump lo è a buon diritto, è probabile però che solo in futuro si riuscirà ad apprezzare la reale genialità di Jack White e dei suoi Stripes.
Salvatore Esposito

Track List:
01) Icky Thump
02) You Don't Know What Love Is (You Just Do As You're Told)
03) 300 M.P.H. Torrential Outpour Blues
04) Conquest
05) Bone Broke
06) Prickly Thorn, But Sweetly Worn
07) St. Andrew (This Battle Is In The Air)
08 ) Little Cream Soda
09) Rag And Bone
10) I'm Slowly Turning Into You
11) A Martyr For My Love For You
12) Catch Hell Blues
13) Effect And Cause


martedì 10 luglio 2007

CATFISH HAVEN - Tell me (2006)


Ecco cosa non aspettarsi da un’etichetta come la Secretly Canadian: i Catfish Haven. Sembra proprio che i tre ragazzi di Chicago non vogliano sentire parlare di raffinatezze indie, sonorità post ecc.: loro fanno soul! Le loro canzoni sono sudate, vissute, sputate fuori, raccolte da terra e risuonate. Tell me si lascia un po’ di rock alle spalle rispetto al precedente ep Please Come Back e aggiunge quel tanto di rhythm’n’blues che dà respiro e completezza sia alla voce intensa e potente del cantante George Hunter che all’intero album, anche attraverso un uso limitato ma elegantemente distribuito di elementi tipicamente black come i cori gospel e l’organo.
L’influenza dei Creedence Clearwater Revival è ancora presente in molti pezzi (I Don’t Worry, Another Late Night) ma in questo disco i Catfish Haven riescono a dare un senso e a contestualizzare il loro sound con una certa naturalezza (l’etichetta è pur sempre quella di gente come Damien Jurado o Jason Molina) rendendolo appetibile e assolutamente non fuori luogo (anche se probabilmente fuori moda) nel “delicato” catalogo Secretly Canadian. Molti storceranno il naso, io preferisco tapparmelo e lasciarmi travolgere dall’eccitante impeto di queste dieci raffiche swamp rhythm’n’blues, innanzitutto perché sono irrestibili e, in secondo luogo, perché possono essere considerate come esempi di onestà e originalità in un panorama musicale ormai colmo di revival rock usa e getta e copia e incolla.
Insomma, mi piace pensare che Wilson Pickett e Otis Redding non si stiano rivoltando nella tomba, o almeno, non per colpa dei Catfish Haven…

Tracklist
1. I don't worry
2. Tell me
3. Crazy for the leaving
4. All I need is you
5. Down by your fire
6. Another late night
7. If I was right
8. Grey skies
9. Let go (Got to grow)
10. This time

THE MUGGS - The Muggs (2005)


The Muggs are still the self-proclaimed "ugliest band in the world," and they're damn proud of it. It would appear as if a proudly ugly band compensates with a gloriously beautiful sound. While vocalist Danny Methric sounds uncannily like Axl Rose, and while you'll spend a few minutes scanning the liner notes for Jimmy Page's name, the band devises a character all its own by throwing down that for-the-love-of-the-music garage sound for which Detroit is famous. Each song delivers pounding hard-rock riffs, immaculate blues underpinnings, and superb percussion from Matt Rost, with "'Monster'" and "Should've Learned My Lesson" emerging the indisputable winners. The Muggs is capped off with "Doc Mode," a seven-minute-plus epic memorable (much like the album's 10 other songs) for a guitar solo in which you'll become blissfully lost.The Muggs disappoints in variety. At nearly 50 minutes, the record offers very little outside of its simple and pure roots - roots that are enjoyable, yet stylistically restrictive. One might pick the nit that the instrumental "Underway" would be better served as a mid-album intermission than a final-stretch decrescendo, but when one starts complaining about track order, it becomes obvious that there isn't all that much to complain about. Fans of blues-rock: Get to jammin'… The Muggs are the real deal.
TRACKLIST:
1 Need Ya Baby
2 Gonna Need My Help
3 Rollin' B-side Blues
4 Monster
5 Should've Learned My Lesson
6 White Boy Blues
7 Hard Love
8 Said & Done
9 Underway
10 If You Please
11 Doc Mode

sabato 7 luglio 2007

THE BLACK KEYS - Magic potion (2006)


I Black keys, araldi del più fiero e sanguigno Rock-Blues sfornano il quarto album, e lo fanno in grande stile, con un album in cui la bruttezza della copertina è inversamente proporzionale al sublime del contenuto. Gente Degna della stima più incondizionata i Black Keys, se ne fottono di qualsiasi moda, rifiutano qualsiasi vezzo tecnologico o ruffianità di sorta e riescono a scatenare una guerra termonucleare armati solo di una chitarra elettrica e di una batteria, ma che chitarra e che batteria! Con questo album la sensazione che i due siano ormai simbionti con i rispettivi strumenti è netta, riuscendo però ad evitare gli inutili onanismi in cui molti (troppi) adepti della scuola hendrixiana sono caduti. Il duo dimostra oramai una maturità artistica indiscutibile, presentando una scaletta al limite della perfezione, i cui suoni non si discostano troppo dagli episodi precedenti, eccezion fatta per una maggiore pulizia, ma è doveroso dirlo: questo non è un difetto. Anche se ci propinano sempre la stessa minestra, viene da pensare che sarebbe bello ce ne fossero di più di minestre così saporite… Canzoni come Your Touch, You’re The One, Strange Destre, o Goodbye Babylon suonano come classici istantanei, ed è forse proprio per questo che i Black Keys non sono mai stati e mai saranno “the next big thing”: troppo classici per un mercato attuale, in particolare quello “sotterraneo”, che vive alla continua ricerca dell’ultima stranezza. Così ecco i cosidetti palati fini strapparsi i capelli per cazzate tipo le pippettes e lasciar passare sotto silenzio un album come questo. Parlare di capolavoro sarebbe eccessivo , visto che comunque questo disco sarebbe potuto uscire benissimo 30 anni fa, ma un 8 non glielo leva nessuno.

Tracklist:
1 Just Got to Be
2 Your Touch
3 You're the One
4 Just a Little Heat
5 Give Your Heart Away
6 Strange Desire
7 Modern Times
8 Flame
9 Goodbye Babylon
10 Black Door
11 Elevator

THE RAKES - Ten new messages (2007)


“dieci nuovi messaggi” dei Rakes, quartetto inglese formatosi nel 2004 e subito associato ai Bloc Party e Franz Ferdinand, virano con decisione verso i primi anni ottanta, saccheggiando a piene mani quelli che sono ancora oggi i numi tutelari dell’indie britannico. Le atmosfere cupe di Cure e Joy Division, il disincanto degli Smiths di Morrissey e un’affettazione di fondo che attraversa tutte le canzoni di Ten New Messages sono fattori meritevoli di considerazione; convincente esempio della coolness indossata con noncuranza dai quattro londinesi è il titolo scelto per il brano The World Was A Mess, But His Hair Was Perfect (“il mondo era incasinato, ma i suoi capelli erano perfetti”), brano d’apertura di Ten New Messages e colonna sonora, in una versione estesa di ben 15 minuti, delle sfilate di moda della celebre maison Dior Homme. Dopo l’anemica Little Superstitions tocca ai cori di We Danced Together, sospinta da una sezione ritmica semplice ma scattante, ravvivare l’atmosfera. Trouble e Time To Stop Talking sono gli altri due episodi più energici, grazie ai loro riff di chitarra tesi e alla batteria sempre in primo piano. I cori di Suspicious Eyes ricordano quelli sentiti nel recente singolo dei Bloc Party The Prayer. In generale insomma un buon secondo album, diverso in senso positivo dal debutto, che conferma la bontà di una band come i Rakes, che seppur molto meno enfatizzati in determinati magazines e riviste rispetto alla concorrenza, han dimostrato sul campo di avere tutte le carte in regola non solo per essere migliori di altri, ma di poter essere più che degni portavoce di un movimento e di un genere musicale che, per colpe forse altrui, in parte è stato sputtanato. Il concetto principale e più importante dietro questi dieci nuovi messaggi a mio parere è proprio questo.

Tracklist:
01.The World Was A Mess But His Hair Was Perfect
02.Little Superstitions
03.We Danced Together
04.Trouble
05.Suspicious Eyes
06.On A Mission
07.Down With Moonlight
08.When Tom Cruise Cries
09.Time To Stop Talking
10.Leave The City And Come Home

La band:
Alan Donhoe (Voce)
Matthew Swinnerton (chitarra)
James Hornsmith (basso)
Lasse Petersen (batteria)

DEE RANGERS - So far out so good (2002)


If you need to get hold of some great music for your weekend party, this is it. Total satisfaction guaranteed!"(Nordic Nick, Rocket 95.3)
"These four Stockholm guys is still another wonderful alternative to sort in among the other holders of the rock'n'roll roots." (Björn Bostrand, Länstidningen Östersund)
"Dee Rangers has got the passion, the energy, the talent and the songs necessary to do the garage rock justice."(Stefan Malmqvist, Svenska Dagbladet)
"Beat and brain from Sweden anno 2002. That is the best description of the Dee Rangers album. A band close to my heart. And live they are a sensation - let the Swedes come! Let my sideburns grow long." (Willem de Kort, Music Minded 02)
"Dee Rangers is masters of their genre and everybody who are into Fratrock, 60's R'n'B, Soul, Power Pop, Punk and Boogie will be enthusiastic: shake yer ass!"(Andreas Kohl, Visions)
"One both becomes nostalgic and grow lyrical." (Jonas Bryngelsson, Hifi & Musik) "This is killer shit. Any garage hound needs this." (The Rawk)
"Violently good garage rock. It sounds Stones, it sounds Kinks, it sounds Sonics. It sounds real dirty 60's garage rock'n'roll from the Swedish quartet Dee Rangers."(Eskilstunakuriren)
"Pure straight rock'n'roll that comes from the heart. You're served 12 tracks that quite simply rocks incredible." (Stefan Arnesson, Propeller)
"It oozes rock'n'roll and it's hard to sit still, it's actually really blasting." (Jenny Övragård, hooy!) "Dee Rangers are far from being new-coining and wants no more than to turn the clock back to the golden year of 1966."(Nicke Boström, 101)
"A delicious mix of the best rhythm & blues and sixties punk. The sound is brilliant, and forces you too turn the cover and look for the date too believe it's recorded now." (Carlos Iglesias, Iron Skies, May 2002)
"These 12 tunes are pure and intense satisfaction providing bashers and stompers, who will surely enlighten or even ablaze in any wild weekend bar-b-Q your trying to get in shape."(Bowy, UpYours, juni 2002)
"The 12 potentional singles are remarqable compositions, all possesing an indispensable little melody that enters the ear to stay in your head. Old school rock n' roll on the rocks!"(Laurent Levy, SDZ 12)
"Holy smokes, if this doesn't make you wanna get up and shake your ass I don't know what's wrong with you!" (Facecrimson zine, May 2002)
"Rip roaring feel good garage racket with a thundering growl vocal and tasty harmonica up front; like The Fleshtones on fire." (Thrust webzine, May 2002)
"The quartet delivers their 50's & 60's riffs with authencity and contagius energy." (Michel Bilodeau, Cyberpresse)
"it is a solid effort of soulful garage rock. The songs are catchy, well played and well recorded without being too slick." (Ben Kweller, Pop On Top)
Dalla Svezia, una delle più potenti garage-bands in circolazione. Questo è il loro debutto: nel suo genere, un masterpiece (Chiapaneco)
Tracklisting
01. Total Despair
02. Baby Come Home
03. Gotta Move
04. Please Come Back To Me
05. A Lot Of Fun
06. Out Of Orbit
07. Way Out Of Line
08. Ultimate Expansion
09. Get Out Of My Mind
10. Jungle Limo
11. My Lawn Is Green
12. I Can't Understand

lunedì 2 luglio 2007

FASCISTI VIGLIACCHI


E'ovvio: c'è il leader dell'opposizione che stravede per queste forze di estrema destra, caratterizzate da quel culto della personalità che fanno sentire Berlusconi il nuovo Duce d'Italia.Ci dialoga, ci fa le manifestazioni insieme e ci fa pure un'alleanza elettorale.Non stiamo parlando dei partiti della destra italiana, quelli populisti, made in Libero, rappresentati da ForzaItalia e AlleanzaNazionale: stiamo parlando dei partiti neo-fascisti, quelli che non dovrebbero neppure esistere vista la loro incostituzionalità. Ma Berlusconi se ne frega, e ci va a braccetto, sempre, in ogni occasione.E purtroppo ieri sera, queste forze neofasciste, si sono sentite autorizzate a fare un irruzione a Villa Ada, a Roma, al termine del concerto rock del gruppo «Banda Bassotti», avventandosi con dei bastoni contro alcuni ragazzi. Il bilancio dell'aggressione, sembra di matrice politica, è di due feriti. Una spedizione punitiva, compiuta da militanti - circa 150, raccontano i testimoni - del movimento di estrema destra, che si sono presentati in colonna gridando "Duce! Duce!", con i volti coperti da caschi, armati di bastoni, catene e coltelli. A scatenare il panico tra le persone presenti al concerto, inserito nella manifestazione «Roma incontra il mondo», è stato anche il lancio di alcuni petardi. Gli aggressori, che urlavano slogan di destra, si sono avventati sulla folla «classificata come comunista» colpendo chiunque capitasse loro a tiro. Pestaggi e scontri sono proseguiti anche all'arrivo piuttosto immediato delle forze dell'ordine. Il tutto è accaduto attorno all'una della notte. VERGOGNA.

Si può essere comunisti, si può essere di sinistra, con varie sfumature che vanno dalla militanza al cattocomunismo. Si può essere cattolici, liberali, socialisti, ma una cosa deve accomunare tutti gli italiani: l’antifascismo.L’antifascismo non è un valore anacronistico come vogliono farci credere. Non è una questione di destra o di sinistra.Viviamo in un clima di emergenza nazionale, voluto e propagandato dalla CDL. Il pericolo comunista viene sbandierato quotidianamente, per motivi elettorali. Poi qualche idiota decide di passare all’azione.Ci sarà sicuramente qualcuno che bollerà la cosa come una ragazzata. Ci sarà chi parlerà di opposti estremismi, trascinando nel fango anche la sinistra. Già lo fanno, quando attaccano i parlamentari vicini ai No Global. Si paragona l’antifascismo all’anti comunismo e non si fa invece rispettare la Costituzione che mette al bando il fascismo, eppure c’è una legge apposita, la legge Scelba.
Sembra che i picchiatori a Roma fossero di Forza Nuova. Un piccolo partito tutt’altro che clandestino. Un partito che ha stretto alleanze con la Mussolini e si è presentato alle elezioni del 2006 con la CDL, in Alternativa Sociale. E allora chi sono gli estremisti? Non penso che ci siano partiti simili a sinistra. Rifondazione e PdCI hanno accettato la democrazia da sempre, altro che il pericolo comunista sbandierato dal nano mafioso. Eppure si continua a parlare di sinistra radicale e di sinistra estrema, che di radicale e di estremo non hanno proprio nulla.Io attendo dalla destra una condanna ferma e senza “se” e senza “ma” dell’accaduto. Condanne esemplari per la squadraccia che ha compiuto questo gesto infame.

NINE BLACK ALPS - Everything is.....(2005)


Suonare grunge a Manchester è un po’ come mangiare polenta e brasato ai Caraibi. C’è chi lo fa, d’accordo, ma è inutile sottolineare quanto sia insolito e impopolare avventurarsi in iniziative del genere. Da una parte, il rischio che il popolo indie-alternativo ti volti le spalle è tremendamente alto; dall’altra, le prospettive di una digestione tranquilla all’ombra di una palma si allontanano inesorabilmente. Ma gli inglesi, si sa, sono capaci di tutto, anche di presentarsi a torso nudo fra gli spalti nelle più gelide nottate calcistiche che possiate concepire: per non parlare di quelli che amano sguazzare nelle fresche acque di Brighton, magari verso sera, spesso addirittura a mezzanotte. Perché allora non cimentarsi nel genere di Kurt Cobain? Del resto, quella del rock corposo e scatenato è una pista che – grazie ai Vines – è ancora fresca e attuale. Certo, Craig Nicholls non ha dovuto confrontarsi con un paese che, musicalmente parlando, è sempre stato in competizione con gli Stati Uniti. E non ha dovuto nemmeno fare i conti con una città come Manchester, legata a doppio filo a generi tipicamente britannici come il baggy e il britpop. Crescere a pane e Nirvana nei dintorni dell’Hacienda è come tradire la propria moglie, o - se preferite – rinnegare d’un colpo le proprie origini. Insomma, mettetela come vi pare, giratela come meglio credete. Il fatto è che un gruppo come i Nine Black Alps sa tanto di pesce fuor d’acqua. Che, nonostante tutto, riesce a cavarsela egregiamente. Merito di un album (questo Everything Is) denso e vigoroso quanto basta, nonché del lavoro di cesellatura di Rob Schnapf, già consigliere massimo di Foo Fighters e dei sopra citati rocker australiani. Il debito nei confronti di Seattle e dei capelloni in camicia di flanella, tuttavia, è enorme: episodi eccellenti del calibro di Shot Down riescono a malapena ad avvicinarsi alla purezza (e alla bellezza) di quel periodo, consegnando nelle mani dell’ascoltatore un prodotto genuino e onesto ma tremendamente mediocre nei confronti di capisaldi come Nevermind. Oddio, oggettivamente questa non è una colpa né tantomeno un demerito: c’è chi nasce con la camicia e chi invece è costretto a lavorare sulla propria persona. E poi, sinceramente, oggi come oggi ci si accontenta anche di poco, e cioè di prodotti senza infamia né lode, buoni per un’estate o poco più. Di rivoluzioni neanche l’ombra, di generazioni afflitte e desiderose di un nuovo leader maximo musicale neppure. I Nine Black Alps non sono i Nirvana, ovvio. Nessuno vorrebbe assumersi tale responsabilità, come nessuno – dalla parte di chi ascolta – è disposto ad accettare una nuova figura carismatica. I tempi che corrono, perlomeno dalla nostra prospettiva, sono troppo floridi e felici perché qualcuno arrivi e ci tratti a pesci in faccia, facendoci la morale e mettendoci a nudo. Prima di arrabbiarsi con il New Musical Express per l’ennesima sòla che ci ha rifilato, ritengo sia utile riflettere su quanto detto finora, ovvero sul cambiamento sociale che sta subendo la musica: da forza trainante a semplice passatempo.In quest’ottica, l’esordio discografico di questi ragazzi è una prova alquanto dignitosa. Avanti così, perciò. Marcello Pelizzari

Tracklist:
1. Get Your Guns
2. Cosmopolitan
3. Not Everyone
4. Unsatisfied
5. Headlights
6. Behind Your Eyes
7. Ironside
8. Shot Down
9. Just Friends
10. Everybody Is
11. Intermission
12. Southern Cross

Componenti del gruppo:
Sam Forrest - guitar playing and singing.
James Galley - drumming and singing.
Martin Cohen - bass
David Jones - guitaring and bassing.

CAMERA OBSCURA - Let's get out of this country (2007)


Il difficile terzo album impone un bilancio alle band che lo raggiungono, esige un elenco di obiettivi raggiunti, sottintende il peso specifico aggiunto della maturità. E se ciò non è sempre vero in un genere bambino come l'indiepop, va detto che i Camera Obscura non sono mai stati una band come le altre. Il personalissimo percorso seguito dalla band scozzese ha spesso eluso le aspettative, stregando con singoli di calibro (del recente "Lloyd, I'm ready to be heartbroken" abbiamo parlato poco tempo fa) mentre perseguiva insondabili rivisitazioni retro tra le pieghe degli album."Let's get out of this country" fa - di nuovo e meglio - esattamente questo, concedendosi al desiderio del titolo: guarda all'America e la rivisita attraverso il suo filtro soporifero con la massima naturalezza. Come un incrocio tra i Mojave 3 di "Excuses for travellers" e i vecchi Belle & Sebastian, gente che ha a sua volta abbandonato la nazione dopo averne esplorato prati e marciapiedi.In un simile esercizio di fantasia lo sguardo dei Camera Obscura mantiene tuttavia il disincanto che gli è consono, custodisce la propria malinconia (in "Dory Previn" e nella dolente "Country Mile") senza disperderla in spazi aperti. Se la compattezza del suono approssima per difetto quella dei Concretes – complice il produttore Jari Haapalainen – la musica conserva tutte le suggestioni e i ricordi cari alla band, che si rintana in una locanda e prende in prestito la fisarmonica dei Cowboy Junkies per un ballo lento alla luce delle candele ("The False Contender"), poi accende i riflettori sul palco e inscena un gioioso numero Motown ("If Looks Could Kill"). Come e più del precedente "Underachievers", Let's Get Out Of This Country si diverte a ricostruire un passato immaginario e idealizzato, guardando un po' più in alto della linea dell'orizzonte; un anelito che procede in felice armonia con il cantato di Tracyanne, la cui esposizione di sentimenti travolge il femminile edulcorato (perchè di norma tradotto da/per orecchie maschili) proprio della musica pop. Ecco, se l'escursione musicale dei Camera Obscura rimane in larga parte ancora indecifrabile, dal punto di vista lirico la maturazione della band appare ormai completa: le difficoltà di comunicazione di "Eighties Fan" lasciano il posto ad un'esplicita richiesta di attenzione (il singolo "Lloyd, I'm Ready to Be Heartbroken") prima che l'ermetica e ambigua vulnerabilità della cantante abbia il sopravvento.
Dopo lo stupore e l'entusiasmo dei primi due album, i Camera Obscura dichiarano concluso il tempo delle sorprese con un disco bello e semplice. E alla fine pare proprio che per loro il difficile terzo album non sia stato poi così difficile.

Tracyanne Campbell - Vocals, Guitars
Gavin Dunbar - Bass
Lee Thomson - Drums
Kenny McKeeve - Guitars, Vocals
Nigel Baillie - Trumpet, Percussion
Carey Lander - Piano, Organ, Vocals

Track Listings
1. Lloyd I'm Ready To Be Heartbroken
2. Tears For Affairs
3. Come Back Margaret
4. Dory Previn
5. False Contender
6. Let's Get Out Of This Country
7. Country Mile
8. If Looks Could Kill
9. I Need All The Friends I Can Get
10. Razzle Dazzle Rose