giovedì 31 maggio 2007

Chavez spegne Rctv


il manifesto del 29 Maggio 2007

Maurizio Matteuzzi

Nessun ripensamento, nessun colpo di scena dell'ultimo minuto. Alle mezzanotte esatta fra domenica e lunedì il logo di Rctv, la più vecchia e la più putschista fra le televisioni venezuelane, è uscito dagli schermi. Probabilmente per sempre. O almeno per tutto il tempo in cui il presidente Hugo Chavez resterà al potere. Subito dopo sugli stessi schermi è apparso per 20 minuti il luogo della Tves, la nuova Televisora Venezuelana Social, che occuperà d'ora in poi le frequenze del canale 2. Il rischio di contraccolpi per Chavez non viene certo dalla mancanza dei programmi giornalistici della Rctv, che solo l'oligarchia più assatanata rimpiangerà, ma dalla sparizione delle telenovelas - come Cristal, Topacio, Kassandra - di cui il network di Granier è uno dei maggiori produttori del mondo e che vende dalla Russia all'Italia, dal Messico alle Filippine. Come nei giorni precedenti all'ora zero, anche ieri ci sono state manifestazioni e incidenti, mentre il traffico di Caracas appariva stranamente lieve in quanto molti avevano preferito non andare al lavoro e non mandare i figli a scuola nel timore di scontri. Ieri i giornali, sono usciti gridando all' «attentato contro la libertà di espressione», i pochi del campo chavista e molti dei nuovi organi comunitari sorti dal basso in questi anni, inneggivano invece alla «democratizzazione delle comunicazioni».Anche all'estero ci sono state reazioni. La presidenza tedesca della Ue ha manifestato «preoccupazione» e la speranza che siano garantiti «la libertà e il pluralismo dell'informazione». Chiudere una tv o un giornale non è mai bello. Ci perdono tutti. Per ora il Venezuela resta una sorta di paradiso per la pluralità dell'informazione. Per molto meno di quello che Rctv ha detto in questi anni, decine di giornalisti sono stati ammazzati in paesi come la Colombia e il Messico.

Chavez aveva finora riscosso molta simpatia in me, vedevo in lui un uomo coraggioso, che si era opposto allo strapotere del becero capitalismo americano e sul piano economico le sue mosse mi sembravano sinceramente rivolte all'emancipazione del suo popolo. Questa volta l'ha però fatta grossa: chiudendo Rctv ha infranto un semplice principio molto caro alle persone amanti della giustizia e della libertà: la libertà d'espressione. Così facendo si è messo sullo stesso piano dei sui più acerrimi nemici. Un giorno un grande uomo disse: "odio il tuo pensiero ma combatterò fino alla morte affinchè tu lo possa esprimere". Compagno Chavez ripensaci.
Chiapaneco

THE DRAMS - Jubilee dive (2006)



The Drams play catchy Rock’n’Roll still with too much respect for their musical heroes.

Il debutto dei The Drams s’inserisce a buon diritto nel filone rock americano che continua ad avere come fonte d’ispirazione il “Boss” dal quale attinge ancora immagini e suggestioni a cui però aggiunge un maggiore vigore grazie al suono delle chitarre: “Hummalong” potrebbe essere il miglior biglietto da visita della band, che non rinuncia a voler lasciare intentate altre possibili strade musicali come nella epica ‘Holy Moses’ che scomoda la memoria delle grandi band sudiste o nella più leggera ‘Fireflies’ dal sapore West Coast. Come per i Centro Matic, con i quali la band condivide lo stesso produttore, Matt Pence, è possibile cogliere l’incredibile potenziale compositivo del leader Brent Best, che già in questo disco firma alcune tra le ballate più intense dell’anno come ‘September’s High’ o la minimalista ‘When You’re Tired’, ma che sembra ancora incerto su quale strada percorrere. La varietà di stili, certi arrangiamenti beatlesiani, sembrano più esercizi di stile, piuttosto che elementi qualificanti la musica dei The Drams. Molto meglio quando la musica si fa più semplice ed ariosa come in ‘You Won’t Forget’ o nella malinconica ‘Shortsighted’.The Drams sono una band da tener d’occhio perché ha già tutto quello che le serve per diventare grande, le basta solo un pizzico di coraggio in più.

Jacopo Meille


Track list1. Truth Lies Low2. Hummalong3. Holy Moses4. Unhinged5. Fireflies6. September’s High7. You Won’t Forget8. You & Me, MF9. When You’re Tired10. Shortsighted11. Crudely Drawn12. Make A Book13. Des Moines14. Wonderous Life

The Drams – Jubilee Dive Guidati dal cantante-chitarrista Brent Best, The Drams’ comprendono altri due membri degli Slobberbone, Jess Barr, chitarra solista e Tony Harper, batteria, oltre a Chad Stockslager, tastiere, e Keith Killoren, basso.

BOTTLE ROCKETS - Zoysia (2006)



La band di St. Louis giunge al traguardo dell’ottavo album, il secondo per la Blue Rose, confermando quanto di buono aveva espresso nei precedenti dischi. ‘Zoysia’ è stato registrato a Memphis, agli Ardent Studios, in presa diretta, scegliendo le take migliori al fine di mantenre quella ruvidezza e freschezza che è alla base della band e che la accomuna ai Crazy Horse di Neil Young, la studio live band per eccellenza.
‘Zoysia’ è un tipo di erba perenne, quella che ti permette di avere un prato sempre verde e morbido senza troppe cure, proprio come il rock dei Bottle Rockets, tutto basato sulle chitarre, basso e batteria che non ha bisogno di grandi arrangiamenti, ma solo della giusta energia e della convinzione dei chi lo suona, energia e convinzione che sono presenti nelle iniziali ‘Better Than Broken’ e ‘Middle Man’, quest’ultima con un testo che continua la tradizione degli “everyday looser”, vittime delle circostanze. La band parte con il piede sull’acceleratore salvo poi lasciarsi ammaliare in ‘I Quit’, dal potere del soul di Memphis che prende il sopravvento con tanto di coro femminile, mentre in ‘Happy Anniversary’, lo spettro di ‘Simple Man’ dei Lynyrd Skynyrd bussa alla porta di Brian Henneman e soci per farsi una birra ed una partita a biliardo mentre ’Mountain To Climb’ è la versione distorta di ‘Dead Flowers’ dei Rolling Stones, ed il resto dell’album si mantiene sulle stesse coordinate con la lunga e articolata title track posta a chiusura quasi a lasciare aperte per la band nuove strade musicali da percorrere.

Jacopo Meille

Track list

Better than broken
Middle man
I quit
Happy anniversary
Blind
Mountain to climb
Align yourself
Suffering Servant
Feeling down
Where I'm from
Zoysia

Brian Henneman guitar, vocals
Mark Ortmann drums
John Horton guitar
Keith Voegele bass, vocals


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mercoledì 30 maggio 2007

LEGGE BAVAGLIO


da l'Unità del 19 aprile 2007
Al Cittadino non far Sapere di Marco Travaglio

Cari lettori, quando il Parlamento approva una legge all’unanimità, di solito bisogna preoccuparsi. Indulto docet. Questa volta è anche peggio. L’altroieri, in poche ore, con i voti della destra, del centro e della sinistra (447 sì e 7 astenuti, tra cui Giulietti, Carra, De Zulueta, Zaccaria e Caldarola), la Camera ha dato il via libera alla legge Mastella che di fatto cancella la cronaca giudiziaria. Nessuno si lasci ingannare dall’uso furbetto delle parole: non è una legge “in difesa della privacy” (che esiste da 15 anni) nè contro “la gogna delle intercettazioni”. Questa è una legge che, se passerà pure al Senato, impedirà ai giornalisti di raccontare - e ai cittadini di conoscere - le indagini della magistratura e in certi casi persino i processi di primo e secondo grado. Non è una legge contro i giornalisti. È una legge contro i cittadini ansiosi di essere informati sugli scandali del potere, ma anche sul vicino di casa sospettato di pedofilia. Vediamo perché. Oggi gli atti d’indagine sono coperti dal segreto investigativo finché diventano “conoscibili dall’indagato”. Da allora non sono più segreti e se ne può parlare. Per chi li pubblica integralmente, c’è un blando divieto di pubblicazione, la cui violazione è sanzionata con una multa da 51 a 258 euro, talmente lieve da essere sopportabile quando le carte investono il diritto-dovere di cronaca. Dunque i verbali d’interrogatorio, le ordinanze di custodia, i verbali di perquisizione e sequestro, che per definizione vengono consegnati all’indagato e al difensore, non sono segreti e si possono raccontare e, di fatto, citare testualmente (alla peggio si paga la mini-multa). È per questo che, ai tempi di Mani Pulite, gli italiani han potuto sapere in tempo reale i nomi dei politici e degli imprenditori indagati, e di cosa erano accusati. È per questo che, di recente, abbiamo potuto conoscere subito molti particolari di Bancopoli, Furbettopoli, Calciopoli, Vallettopoli, dei crac Cirio e Parmalat, degli spionaggi di Telecom e Sismi. Fosse stata già in vigore la legge Mastella, Fazio sarebbe ancora al suo posto, Moggi seguiterebbe a truccare i campionati, Fiorani a derubare i correntisti Bpl, Gnutti e Consorte ad accumulare fortune in barba alle regole, Pollari e Pompa a spiare a destra e manca. Per la semplice ragione che, al momento, costoro non sono stati arrestati né processati: dunque non sapremmo ancora nulla delle accuse a loro carico. Lo stesso vale per i sospetti serial killer e pedofili, che potrebbero agire indisturbati senza che i vicini di casa sappiano di cosa sono sospettati. La nuova legge,infatti,da un lato aggrava a dismisura le sanzioni per chi infrange il divieto di pubblicazione: arresto fino a 30 giorni o, in alternativa, ammenda da 10 mila a 100 mila euro (cifre che nessun cronista è disposto a pagare pur di dare una notizia). Dall’altro allarga à gogò il novero degli atti non più pubblicabili. Anzitutto “è vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, degli atti di indagine contenuti nel fascicolo del pm o delle investigazioni difensive, anche se non più coperti da segreto, fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”. La notizia è vera e non é segreta, ma è vietato pubblicarla: i giornalisti la sapranno, ma non potranno più raccontarla. A meno che non vogliano rovinarsi, sborsando decine di migliaia di euro. È pure vietato pubblicare, anche solo nel contenuto, “la documentazione e gli atti relativi a conversazioni, anche telefoniche, o a comunicazioni informatiche o telematiche ovvero ai dati sul traffico telefonico e telematico, anche se non più coperti da segreto”. Le intercettazioni °© che hanno il pregio di fotografare in diretta un comportamento illecito, o comunque immorale, o deontologicamente grave °© sono sempre top secret. Bontà loro, gli unanimi legislatori consentiranno ancora ai giornalisti di raccontare che Tizio è stato arrestato (anche per evitare strani fenomeni di desaparecidos, come nel vecchio Sudamerica o nella Russia e nell’Iraq di oggi). Si potranno ancora riferire, ma solo nel contenuto e non nel testo, le misure cautelari, eccetto “le parti che riproducono il contenuto di intercettazioni”. Troppo chiare per farle sapere alla gente. E i dibattimenti? Almeno quelli sono pubblici, ma fino a un certo punto: “non possono essere pubblicati gli atti del fascicolo del pm, se non dopo la pronuncia della sentenza d’appello”. Le accuse raccolte (esempio, nei processi Tanzi, Wanna Marchi, Cuffaro, Cogne, Berlusconi etc.) si potranno conoscere dopo una decina d’anni da quando sono state raccolte: alla fine dell’appello. Non è meraviglioso? L’ultima parte della legge è una minaccia ai magistrati che indagano e intercettano ”troppo”, come se l’obbligatorietà dell’ azione penale fosse compatibile con criteri quantitativi o di convenienza economica: le spese delle Procure per intercettazioni (che peraltro vengono poi pagate dagli imputati condannati, ma questo nessuno lo ricorda mai) saranno vagliate dalla Corte dei Conti per eventuali responsabilità contabili. Così, per non rischiare di risponderne di tasca propria, nessun pm si spingerà troppo in là, soprattutto per gli indagati eccellenti. A parte «Il Giornale», nessun quotidiano ha finora compreso la gravità del provvedimento. L’Ordine dei giornalisti continua a concentrarsi su un falso problema: quello del “carcere per i giornalisti”, che è un’ipotesi puramente teorica, in un paese in cui bisogna totalizzare più di 3 anni di reclusione per rischiare di finire dentro. Qui la questione non è il carcere: sono le multe. Molto meglio una o più condanne (perlopiù virtuali) a qualche mese di galera, che una multa che nessun giornalista sarà mai disposto a pagare. Se esistessero editori seri, sarebbero in prima fila contro la legge Mastella. A costo di lanciare un referendum abrogativo. Invece se ne infischiano: meno notizie “scomode” portano i cronisti, meno grane e cause giudiziarie avrà l’azienda. Mastella, comprensibilmente, esulta: «Un grande ed esaltante momento della nostra attività parlamentare». Pecorella pure: «Una buona riforma, varata col contributo fondamentale dell’opposizione». Vivi applausi da tutto l’emiciclo, che è riuscito finalmente là dove persino Berlusconi aveva fallito: imbavagliare i cronisti. Ma a stupire non è la cosiddetta Casa delle Libertà, che facendo onore alla sua ragione sociale ha tentato fino all’ultimo di aumentare le pene detentive e le multe (fino al 500 mila euro!) per i giornalisti. È l’Unione, che nell’elefantiaco programma elettorale aveva promesso di allargare la libertà di stampa. Invece l’ha allegramente limitata con la gentile collaborazione del centrodestra. Ma chi sostiene che nell’ultimo anno non è cambiato nulla, ha torto marcio. Quando le leggi-vergogna le faceva Berlusconi, l’opposizione strillava e votava contro. Ora che le fa l’Unione, l’opposizione non strilla, anzi le vota. In vista del passaggio al Senato, cari lettori, facciamoci sentire almeno noi, giornalisti e cittadini.

E poi, i nostri cari politici si meravigliano quando qualcuno decide di imbracciare le armi e far sentire la sua voce

MANDO DIAO - Ode to Ochrasy (2006)


Sarebbe troppo facile demolire quest'album sulla classica teoria del "gia sentito": è stato già detto più volte, e siamo tutti d'accordo. Ma per una volta freghiamocene dell'originalita' ad ogni costo, della sperimentazione forzata, e pensiamo a quello che conta veramente, alla musica, alle chitarre che fumano, alla batteria che suona di brutto e ci troveremo di fronte una band che nel 2006 suona ancora il rock, quello vero, quello tosto, quello figo. I Mando Diao sottolineano un'altra volta la loro identità di pura rock band e lo fanno sempre allo stesso modo: smuovendo le anime, scuotendo le persone e alzando il volume dei loro Marshall, regalandoci riff che gia al primo ascolto ti fanno alzare e saltare per tutta la stanza, come solo una grande band puo fare. Perchè la potenza di 'Killer Kaczynski' o le carezze urlate in 'You Don't Understand Me' sono ancora delle perle di un panorama musicale che a volte ignora le cose semplici ma efficaci ed emozionanti. Il singolo 'Long Before The Rock'n Roll' è un marchio a fuoco chitarristico in pieno stile Mando, bello anche l'alternarsi delle voci che contribuisce ad arricchire il tutto, evitando una monotonia che in parte, purtroppo, è comunque presente nel sound della band. Da segnalare anche le splendide 'Tony Zoulias' e l'ottantesca 'Tv And Me'. In conclusione, 'Ode To Ochrasy' non è il disco del secolo, ma sicuramente un LP che ha ragione di esistere. I suoi autori hanno la capacità di andare dritti al punto della questione, per questo ci piacciono e anche parecchio.

Alessandro Paldo

Tracklist:
Welcome Home Luc Robitaille
Killer Kaczynski
Long Before Rock'n'Roll
The Wildfire ( If It Was True )
You Don't Understand Me
Tony Zoulias ( Lustful Life )
Amsterdam
TV And Me
Josephine
The New Boy
Morning Paper Dirt
Good Morning Herr Horst
Song For Aberdeen
Ochrasy

PROTAGONISTI:
Björn Dixgärd (voce, chitarra)
Gustaf Norén (voce, chitarra)
Samuel Giers (batteria)
Carl Johan Fogelklou (basso)
Mats Bjorke (tastiere).

HOWLING BELLS - Howling bells (2006)



L'Australia è da tempo terra di grande pop. Oltre agli eterni Go-Betweens e Church, in tempi recenti gruppi come Sodastream e, in misura minore, Sleepy Jackson hanno portato in giro per il mondo il vessillo della terra dei canguri. Gli Howling Bells si inseriscono in questo filone di nuova onda del pop transoceanico con una musica che i sempre scaltri giornalisti dell'NME hanno definito come "The sound of P.J. Harvey hitching a ride with the Velvet Underground through Twin Peaks".Non completamente sbagliato, anche se al posto di P.J. Harvey la mente va verso Emily Haines (Metric, Broken Social Scene) nei momenti piu' tirati e Amy Millan (Stars) per quelli piu´ rilassati. Ne risulta quindi un hyper-pop alla maniera della Arts and Crafts ma senza la sua aura ieratica. Questo perché "Howling Bells" sembra essere piegato verso l'introspezione e i suoni sembrano molto più cattivi - soprattutto nei dialoghi chitarra/pianoforte che potrebbero ricordare certi Bad Seeds ("Broken Bones") - di quelli provenienti dal Canada. Personale miscela di new wave, pop chitarristico (echi di Pretenders qua e là) e un po' di alt.country tra John Parish e l'eterno Howe Gelb cantata da una personalissima interprete come può essere Juanita Stein, l'omonimo esordio di questi australiani un tempo conosciuti come Waikiki ha tutte le carte in regola per prendere in ostaggio gli impianti stereo di chi in certi suoni trova la culla dei propri sentimenti. Un'eclettica miniera di suoni che si dimostra personale oltre ogni aspettativa (merce rara, di questi tempi: sentite mai la radio?). Dall'Australia, ennesima conferma di una solida tradizione musicale.
**** Grande album, ai primissimi posti nella mia personale playlist del 2006 ****


:: Tracklist ::
01. The Bell Hit
02. Velvet Girl
03. Low Happening
04. Broken Bones
05. Whishing Stone
06. A Ballad For The Bleeding Hearts
07. The Night Is Young
08. Across The Avenue
09. Setting Sun
10. Blessed Night
11. In The Woods
12. I'm Not Afraid

Howling Bells are:
Juanita Stein (vox/guitar)
Joel Stein (guitars)
Brendan Picchio (bass)
Glenn Moule (drums)

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martedì 29 maggio 2007

THE WOMBATS - Girls, boys and marsupials (2007)


The Wombats provengono da Liverpool e sono un giovane trio che, come diverse band britanniche nelle recenti stagioni, punta parecchio sugli intrecci vocali (anche con brani a cappella), ritornelli a presa rapida, chitarre spedite e ritmi danzerecci in levare. Di sicuro non hanno perso troppo tempo a scrivere i testi.Però il gioco funziona, si scuote la testa e si batte il piede, e se siete nei pressi di qualche pista da ballo non sarà difficile lasciarsi trascinare.Le recensioni chiamano in causa Supergrass, Futureheads e Franz Ferdinand. I blogger oltreoceano sono già innamorati di loro, grazie anche al passaggio al recente SXSW. Il tempo dirà se gli Wombats meritano tutto questo hype. Intanto pare abbiano un enorme seguito in Cina, mentre il loro album d'esordio, intitolato Girls, Boys and Marsupials, è stato pubblicato alla fine dell'anno scorso soltanto in Giappone. I singoli inglesi invece hanno già avuto tutti passaggi radiofonici che contano.

TRACKLIST:
Moving To New York
Lost In The Post
Patricia The Stripper
Party In A Forest (Where's Laura?)
Backfire At The Disco
My First Wedding
Metro Song
Derail And Crash
Little Miss Pipedream
Caravan In Wales
Sunday T.V.
Acapella


THE FEELING - Twelve, stops and home (2006)


Long live pop! Let The Feeling spread your feelings.


L’arte del pop è cosa rara, difficile da codificare, perché si poggia principalmente sulla sensibilità dei musicisti, proprio come accade per gli artigiani: per quanto uno possa imparare le tecniche ed i procedimenti, quello che deve esserci è il talento, la passione e la dedizione totale al proprio lavoro. I The Feeling proprio mentre altre band inglesi ben più conosciute come Muse, Divine Comedy e Keane si ripresentano sul mercato con dischi più che validi, sbaragliano la concorrenza con 12 canzoni praticamente perfette, ben bilanciate tra ovvietà e sorpresa. L’ascolto di questo disco infatti si fa di volta in volta sempre più coinvolgente. La band non gioca la carta del catturare le simpatie al primo ascolto o nella tecnica, sempre più utilizzata, di puntare solo su un paio di brani e di tentare la sorte. ‘Twelve Stops And Home’ è un disco scritto e pensato per essere ascoltato, gustato e vissuto nella sua interezza, così da poterne cogliere i rimandi alla grande tradizione pop inglese: dai 10cc (che aleggiano in quasi tutti i brani) al Paul McCartney ispirato (‘Same Old Stuff’), dai Supertramp (‘Never Be Lonely’) ai Queen (‘Love You When You Call’). E’ un disco profondamente britannico, per quel gusto per la melodia ed il kitsch, per l’attitudine sbarazzina e sbruffona del cantante, Dan Gillespie Sells, che ha il dono innato di sapersi dosare e, soprattutto, di conoscere tutte le sfumature della sua voce, vero collante del più bel disco d’esordio di questo 2006.Jacopo Meille


Track list1. I Want You Now 2. Never Be Lonely3. Fill My Little World4. Kettle's On5. Sewn6. Anyone7. Strange8. Love It When You Call9. Rose10. Same Old Stuff11. Helicopter12. Blue Piccadilly

Formazione
Dan Gillespie Sells - voce, chitarra
Kevin Jeremiah - chitarra, voce
Richard Jones - basso, voce
Paul Stewart - batteria
Ciaran Jeremiah - tastiere, voce

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LUCERO - Rebels, Rogues & Sworn brothers (2006)


Honest, passionate, intense, epic, solid effort by a band with pride
Non pubblicano speso ma hanno un nome nel combat rock di matrice classic che in america esiste come in Europa. Lucero con “Rebels, Rogues & Sworn Brothers “presentano uno dei migliori album di rock ascoltato negli ultimi tempi: Hanno il piglio di Tom Petty & the Heartbreakers, Bruce Springsteen & the E Street Band, Bob Seger & the Silver Bullet Band ma anche qualcosa dei Mot The Hoople di “All the Young Dudes” . Molto è merito della voce e della chitarra di Ben Nichols; ben canta come Ian Hunter e suona come Petty ma nella sua personalità ci sono almeno 35 anni di rock stradaiolo e di autostrade, di camion, di macchine, di interstate e sogni ad occhi aperti. Non ci aspetterebbe mai David Lowery dei Camper Van beethoven a produrre ma un motivo c’è nella proposta veramente alternative di un gruppo che esiste solo se ha voglia di esistere e non per richiesta altrui.Registrato e mixato in sole due settimane a Richmond, Virginia segnaliamo “I Can Get Us Out Of Here” che accende il disco dopo i primi tre brani che servono a “studiare” in che ambito si muove la formazione e la successiva “Nineteen Seventy Nine” un gioiellino di passione e commozione rock & roll mentre “The Mountain” potrebbe essere uscito dal repertorio dei primi 38 Special e “Sing me no hyms” una composizione che potrebbe far scambiare il gruppo per una jam band. Ma è “the weight of guilt” che ha colpito l’attenzione del recensore: il brano, che ha per incipit un riff non dissimile da quello di uno dei più celebri brani dell’estate opera di un cantautore emiliano, mostra da subito, dalle prime sillabe della strofa, quale sia il vero the dictionary of rock: inutile spiegarlo qui, ascoltare per capire. E quando poi il ritornello si apre rovesciando il tempo è chiaro che il rock di casa nostra passi sempre dall’imbuto della commercialità anche non ricercata ma vera parte del nostro Dna. La canzone in un gioco di stop/start/stop arriva in coda con un organo Hammond distorto che cuoce la coda del brano come un roast beef a fuoco lento. Bello. E subito dopo Lucero si lanciano “She’s just that kind of girl “, in cui è l’attitudine che conta. E quando, a un brano dalla fine, piazzano la ballatona di rito, “ On the way back home ,“ con ben due minuti di crescendo rotatorio, non puoi che toglierti il cappello davanti a così tanta onestà mentre i titoli di coda scorrono sulle note atmosferiche di “She wakes when she dreams”.Ignorati praticamente da chiunque per la discontinuità con cui si propongono, Lucero non è una proposta che cambia il mondo del rock ma fa stare bene e rafforza il credo tenendo accesa la fede. Non sono davvero nessuno nel vasto panorama del rock americano ma come band tipo Replacemnts, Gin Blossom, Blue Rodeo, Delgados prima di loro, sono i muri portanti di un genere che è parte integrante della nostra storia.


Ernesto de Pascale.


Track Listing :

1. What Else Would You Have Me Be?
2. I Don't Wanna Be The One
3. San Francisco
4. I Can Get Us Out Of Here
5. 1979
6. Cass
7. Mountain, The
8. Sing Me No Hymns
9. Weight Of Guilt, The
10.She's Just That Kind Of Girl
11.On The Way Back Home
12.She Wakes When She Dreams



Lucero: Ben Nichols (vocals, guitar); Brian Venable (guitar); John C. Stubblefield (bass instrument); Roy Berry (drums, percussion).


PAPERCUTS - Can't go back (2007)


Review
· Ruben_James
· 02/20/2007
I’ll be the first one to admit that I often fall victim to the “it grows on you” album. I can be an impatient man—especially when it comes to music. There is so much out there to listen to. And mama didn’t raise no freeloader—I buy my music after what I consider to be thorough pre-record-shop research. This little bit of legwork usually pays off and I rarely pick up a record based on snazzy artwork, snobby store clerk approval, or declaration of the second coming from the equally snobby leading indie rock website. A few months ago I heard a couple of MP3’s from Papercuts’ debut album Mockingbird. I was pretty much floored—in particular, the track “Poor and Free” MP3. Fuuuuuuudge… What a lazy psychedelic masterpiece! Mockingbird went on a long list of records I needed to own. Much to my chagrin, my local record shops didn’t have it in stock and didn’t seem too enthused about doing so—too busy listening to TV on the Radio or some shit. Fast-forward a month: I hear news of a new Papercuts album coming out on Gnomonsong—the Devendra/Vetiver curated label with a bright future. Now, I’m not sure Devendra and I see eye to eye, but that Andy Cabic obviously listens to some great music—at least judging from his incredible last album To Find Me Gone. Anyway… great news! Soon enough, Discollective featured the track “John Brown” MP3 from the forthcoming Can't Go Back. It was another jaw-dropping moment of pure musical gratification. Like some forgotten work of psych pop genius, “John Brown” is flawless. I knew then that this album would be the analog warmth I’d been searching for in these cold early months of some decent—but somewhat icy and mechanical—indie rock releases. I have to be honest: I was slightly underwhelmed after my first listen. I was even mildly let down after my second listen. And now, after my 227th listen I have no idea WTF I was thinking. I guess it just “grows on you.” The thing was that there were no more “John Brown”s. But, how could there be? A Thanksgiving table can only have one centerpiece. But, what’s the centerpiece without those mashed potatoes or Gramm’s rolls? Not following? Okay, plain and simple: All the songs on this record are remarkable and they depend on each other to create an overall ambience of awesomeness! “Dear Employee” opens the album with Jason Quever stepping into the role of a shitty boss—slightly reminiscent of Belle & Sebastian’s “Step Into My Office, Baby,” but only in subject matter. A chugging acoustic guitar simmers under cello, organ, and Moe Tucker-style drums as Quever spits, “Bring me my papers / Bring me my coffee / Pick up your check and go / You’re just my employee now.” Following “John Brown,” “Summer Long” and “Unavailable” float on gentle mid-sixties psychedelic balladry. “Take The 227th Exit” wraps up act-one in the music hall style of the Beatles or Kinks. If CD’s had B-sides, I’m assuming “Outside Looking In” would lead into it. Andy Cabic lends backing vocals to this fairly Blonde on Blonde sounding track—bluesy lead guitar and bouncing upright piano. The droning hazy pop of organ-heavy “Sandy” gives way to guitar chords akin to the acoustic side of Led Zeppelin in “Just Another Thing To Dust” until the most psychedelic track on the album, “Found Bird,” bursts through in the fever-dream form of a marching band on barbiturates. Cabic lends vocals again on album closer “The World I Love”—a great closing anthem of piano pop that ends this affair on a positive note. Jason Quever has assembled a wonderfully coherent album out of the remnants of the last fifty years of pop music. Influences are easy to spot, but these songs are never cheap knock-offs. Overall, Quever seems to be under the influence of not any particular few bands but a decade—the 60’s, and he would have been a star in them. I still have no idea why Can’t Go Back was one of those “it grows on you” albums for me—but I’m glad it did.
Tracks:1. Dear Employee 2. John Brown 3. Summer Long 4. Unavailable 5. Take the 227th Exit 6. Outside Looking In 7. Sandy 8. Just Another Thing to Dust 9. Found Bird 10. World I Love
Musicians:
Jason Robert Quever (Lead Vocals, Guitar, Etc...), Andy Cabic (Vocals), Alex deLanda (Bass), David Enos (Organ, Vocals), John Herbinson (Vocals), Dana Laman (Vocals), Shayde Sartin (Bass), Matt Stromberg (Drums)

LA CARRIERA DI SCARONI


SCARONI INDAGATO
L'inchiesta della GdF riguarda i cosiddetti misuratori venturimetriciIndagato l'ad del Cane a sei zampe come legale rappresentante della capogruppo
Presunta truffa su misurazione del gasPerquisizioni a Eni, Snam e Italgas
MILANO - Truffa sui sistemi di misurazione del gas. Con questa accusa il numero uno dell'Eni, Paolo Scaroni, è stato indagato nell'inchiesta avviata dai pm milanesi. Lo si legge in una nota del gruppo petrolifero. "Siamo sereni - commenta Scaroni - Le misurazioni oggetto dell'inchiesta sono al centro dell'attenzione di tutte le società operanti nel mercato del gas in Italia e all'estero. Tanto che io stesso, appena giunto in Eni, ho attivato una procedura di verifica sulle misurazioni del gas, avvalendomi di consulenti internazionali specializzati". Oltre all'ad di Eni, nell'inchiesta sulle misurazioni del gas avviata dai pm milanesi Sandro Raimondi e Letizia Mannell, risultano indagate altre dieci persone e otto società fra cui Eni, Snam Rete Gas e Italgas. Tra gli indagati anche Giuliano Zuccoli, presidente e amministratore delegato dell'Azienda energetica milanese. Secondo l'ipotesi di accusa l'Eni avrebbe usato dei contatori chiamati venturimetrici, che avrebbero conteggiato consumi maggiori rispetto alla realtà, gonfiando di fatto le bollette.

Il caso Paolo ScaroniOvvero il manager all'italiana
«In termini personali, io ho pedalato in discesa tutta la vita. All’improvviso, mi sono trovato davanti questo enorme problema, che mi ha reso più fiducioso in me stesso e mi ha fatto capire che sarei in grado di pedalare anche in salita». Chi parla, intervistato sulle colonne dell’autorevole Financial Times, è Paolo Scaroni, 55 anni, uomo ottimista e manager di successo. L’«enorme problema» a cui accenna è un arresto, subìto da Scaroni nel pieno di Mani pulite e seguito da una pena, patteggiata, di 1 anno e 4 mesi. Per tangenti: pagate per ottenere appalti e ammesse davanti ai magistrati. Ma dieci anni dopo, Scaroni, sul quotidiano londinese, si autoassolve: «In un paese in cui gli affari e il governo erano così strettamente intrecciati, dove le istituzioni erano controllate dai politici, era possibile comportarsi in modo diverso? La risposta semplice è: no, non era possibile».Chiusi così i conti con Mani pulite, il manager riprende felicemente a pedalare in discesa. Dopo un breve esilio è tornato in Italia ed è risalito sulla cresta dell’onda: il 13 maggio 2002 è stato nominato dal governo Berlusconi amministratore delegato dell’Enel: proprio l’azienda pubblica da cui dieci anni prima aveva «comprato» appalti, a suon di tangenti («Something that in retrospect is somewhat ironic», si permette di commentare il Financial Times). Ora, con la sua intervista del 3 ottobre 2002, si offre di fatto come caso emblematico, diventa paradigma dei rapporti tra affari e politica in Italia: una vicenda esemplare, una microstoria da studiare. Vale la pena dunque di accettare il terreno di confronto. E allineare materiali e informazioni per illuminare il caso e capire il fenomeno.
Tangentopoli, due volte protagonistaPaolo Mario Scaroni, vicentino, studia alla Bocconi e si specializza a New York, alla Columbia University. Lavora alla McKinsey, alla Chevron, alla Saint Gobain, infine alla Techint, il gruppo della famiglia Rocca, con grandi interessi in Messico e Argentina. Proprio come amministratore delegato della Techint inciampa nell’inchiesta Mani pulite: il 14 luglio 1992 viene arrestato con l’accusa di aver pagato tangenti ai partiti per ottenere appalti dall’Enel.Dopo qualche tempo confessa: «Dal 1985 a oggi ho versato al Partito socialista circa 2 miliardi e mezzo, sempre su richiesta dell’onorevole Balzamo, consegnandogli denaro a volte in contanti e a volte su conti esteri». Racconta a verbale di essere stato convocato a metà degli anni Ottanta da Vincenzo Balzamo, segretario amministrativo del Psi e braccio destro finanziario di Bettino Craxi, il quale gli avrebbe spiegato che gli appalti alla Techint sarebbero stati condizionati da contributi versati al partito socialista. Gli uomini del Psi messi nei posti chiave, spiega Scaroni ai magistrati, «erano in grado di stoppare qualsiasi iniziativa del gruppo Techint, qualora non ci fossimo adeguati al sistema».Il manager si adegua. Agli inizi degli anni Novanta, però, il sistema sembra incepparsi: «Craxi aveva espresso uno sgradimento nei miei confronti», gli viene spiegato nel 1991 da un collaboratore di Balzamo, Vittorio Valenza. Scaroni chiede allora udienza al rappresentante di Craxi nel settore energia, Bartolomeo De Toma: «Mi fece capire che la ragione per cui Craxi ce l’aveva con noi era perché voleva più soldi dall’impresa». Il leader socialista voleva alzare il prezzo. «Transattivamente, convenimmo su un versamento della somma di lire 800 milioni».Tornerà in cella, per un giorno, nell’aprile 1993. Ammesse le tangenti – ma non un ruolo da regista nelle mazzette Enel – al processo, che si celebra nel 1996, Scaroni chiede di patteggiare la pena: 1 anno e 4 mesi, sotto la soglia che obbliga a entrare in carcere. Con ciò, chiude i suoi problemi penali.Segue un periodo di eclissi, durante il quale però Scaroni realizza il suo capolavoro: la compravendita della Siv. Scoppiata Tangentopoli, lo Stato avvia la gigantesca operazione delle privatizzazioni. Ancor prima, però, deve mettere in liquidazione, sotto la regia di Giuliano Amato e Alberto Predieri, l’Efim, carrozzone di Stato che fa acqua da tutte le parti, ma che contiene anche qualche boccone prelibato: come la Siv, un’azienda che produce vetri per auto. Scaroni, che ha iniziato giovanissimo la sua carriera come manager proprio di un’impresa del vetro, la Saint Gobain, fiuta l’affare e, per conto della Techint in alleanza con la britannica Pilkington, compra la Siv per soli 210 miliardi di lire: circa la metà del valore assegnatole da una perizia di Mediobanca, protesta invano qualche ex manager del gruppo. Dopo qualche tempo, la Pilkington rileva l’intera Siv e Scaroni si trasferisce a Londra, come chief executive officer dell’azienda britannica.Di Tangentopoli Scaroni è stato dunque due volte protagonista: la prima, come manager che ha comprato appalti pubblici in cambio di mazzette ai partiti, contribuendo così a formare la voragine del debito pubblico che ha portato nel 1992 l’Italia sull’orlo della bancarotta; la seconda, come beneficiario delle privatizzazioni rese necessarie per salvare il paese dai guasti di Tangentopoli.
Trasversale, tra Londra e RomaGli anni londinesi, più che un esilio, sono un periodo di intensi rapporti stretti con gli italiani che contano. In vista, evidentemente, del grande rientro. Scaroni ha sempre avuto ottime relazioni: è cugino di Margherita Boniver, ex ministro socialista; è amico di Massimo Pini, già uomo di Craxi all’Iri e oggi consigliere economico di An; e ha sempre avuto buoni rapporti con Gianni De Michelis, ex doge socialista. Non si può dunque dire che fosse taglieggiato da un Psi estraneo e nemico. Ma le sue amicizie sono sempre state trasversali: Luigi Bisignani, democristiano, tessera P2, ex giornalista, condannato a 2 anni e 8 mesi per le tangenti Enimont, è il lobbista che ha lavorato per lui, contribuendo a costruire il suo ritorno in Italia: prima, nel 2001, come presidente degli industriali di Venezia; poi, l’anno successivo, come amministratore delegato dell’Enel. Per Scaroni le pubbliche relazioni, si sa, sono importanti, tanto che ha incaricato un’agenzia specializzata di Londra, la Fensbury, di ricostruirgli l’immagine. Con ottimi risultati, a giudicare dall’articolo del Financial Times.Del resto, la carta stampata è sempre stata una sua passione, tanto che a metà degli anni Ottanta, insieme a un giornalista di Panorama, Angelo Maria Perrino, scrisse un libro, Professione manager, edito da Mondadori. In copertina il suo nome non compariva: «Anonimo», era scritto prima del titolo, mentre il nome di Perrino era preceduto da un «a cura di». Il gioco però era fatto per essere scoperto: l’«Anonimo» autore di Professione manager era proprio lui, Paolo Scaroni, fisico alla Gene Hackman e voglia di cavalcare l’onda anni Ottanta dei manuali all’americana dove si indica la strada più breve per il successo.Nella sua città ha mantenuto salde radici, tanto da diventare, per un periodo, presidente del Vicenza Calcio. Ma le sue capitali d’adozione sono Londra e, naturalmente, Roma. E la sua relazione più preziosa è quella con un uomo anch’egli molto attivo sull’asse Roma-Londra: Mario Draghi, ex direttore generale del Tesoro, l’uomo che nel momento delle privatizzazioni tolse alla Mediobanca di Enrico Cuccia il monopolio delle operazioni finanziarie in Italia aprendo alle merchant bank straniere.La trasversalità dell’uomo ha il culmine naturale in Forza Italia: Scaroni ha buoni rapporti con Giancarlo Galan, ex venditore di pubblicità per Publitalia e oggi il presidente della Regione Veneto, ma soprattutto con Bruno Ermolli, personaggio chiave del mondo berlusconiano all’incrocio tra affari e politica. Basti pensare che Ermolli è il tutore di Marina Berlusconi, l’uomo-ombra che ha gestito la ristrutturazione della Fininvest restata senza il capo, ormai prestato alla politica. Così Scaroni, uomo dall’ottimo curriculum e dalle ottime relazioni, ha potuto arrivare alla poltrona che è stata di Franco Tatò.Il manager ha però qualche sponda anche a sinistra, se è vero che ai tempi dei governi dell’Ulivo era circolato il suo nome come possibile risanatore dell’Alitalia; e che la sua nomina ai vertici dell’Enel ha provocato, accanto alle reazioni critiche dell’ex ministro Pierluigi Bersani, Ds, anche i commenti soddisfatti di un altro ex ministro della Quercia, Vincenzo Visco. Un bel risultato, per l’autore di un manuale che consigliava agli aspiranti manager di non schierarsi troppo, di non bruciarsi brandendo una sola bandiera politica.
La giustizia oltre che essere divina, qualche volta è anche umana. Paolo Scaroni è stato condannato per disastro ambientale.Negli anni ‘90, come Amministratore Delegato della Technoint, Scaroni aveva già patteggiato una condanna a due anni e tre mesi per corruzione per tangenti pagate per ottenere appalti dall'ENEL.Questo signore è stato promosso amministratore delegato dell’Eni dallo psiconano per i suoi meriti sul campo!La condanna per l'Enel arriva dalla sentenza del giudice Lorenzo Miazzi. Quasi tre milioni di euro per risarcire i danni causati dalla centrale Enel ad olio combustibile di Porto Tolle (Rovigo).Tra i beneficiari, associazioni ambientaliste, privati cittadini, enti parco e ministero dell'Ambiente. Il tribunale dell'Adria ha condannato due ex amministratori dell'Enel e due dirigenti per le emissioni e le ricadute oleose della centrale.












lunedì 28 maggio 2007

GOMEZ - How we operate (2006)


Quando una band osannata da tutti pubblica un disco che per la prima volta non riscuote consensi unanimi, è normale che il lavoro successivo venga visto come una specie di test sull’effettiva condizione artistica del gruppo stesso.I Gomez sono giunti a questo punto dopo che il precedente Split The Difference aveva visto più di un aficionado del collettivo di Southport storcere il naso dopo anni di adorazione incondizionata, si trattasse della prima parte di carriera improntata sulle influenze blues o di quella successiva che aveva visto protagoniste le contaminazioni, soprattutto quelle elettroniche. Il problema era soprattutto che anche chi dell’album aveva un parere positivo, come il sottoscritto, non faticava ad ammettere che si trattava del punto più basso (o meglio, meno ispirato) della loro carriera.Evidentemente però a questi ragazzi la sicurezza nei loro mezzi non manca, dato che questo disco, invece di tentare ulteriori cambiamenti, è esattamente in linea con quello “incriminato”. Solo a livello di struttura ed approccio però, perché per quanto riguarda l’ispirazione siamo decisamente tornati ai giorni migliori.
Nello specifico la band mostra di voler insistere nell’aggiungere alle sue due anime tradizionali, quella più blueseggiante e quella maggiormente malinconico - sentimentale, una terza squisitamente pop. E perché la cosa sia chiara, ognuna delle prime tre canzoni è rappresentativa di uno di questi diversi atteggiamenti, con la commovente Notice, la scanzonata See The World e, appunto, la blueseggiante title track.Quello che in primo luogo piace di questo disco è comunque l’abilità da parte del gruppo di mescolare spesso e volentieri tra loro questi diversi stati d’animo, per esempio quello malinconico e quello blues in Chasing Ghosts With Alcohol, o quello blues e quello pop in Cry On Demand, alternando questo tipo di canzoni “ibride” ad altre in cui invece delle tre anime ce n’è una sola, come nel sapore estivo di Girlshapedlovedrug (la cui uscita come singolo è prevista, guarda caso, con l'arrivo dell'estate), o nei quattro quarti di Tear Your Love Apart o ancora nella rassegnazione che pervade Charley Patton Songs. Ogni canzone così riesce più o meno a distinguersi dalle altre, mantenendosi al contempo un forte filo logico tra tutti i brani.Queste squisitezze tecniche sono però solo la conseguenza del miglioramento fondamentale di questo disco, ovvero proprio una maggiore ispirazione, che non è qualcosa che si studia a tavolino o si cerca a tutti i costi, ma che, se si ha talento, potrà non aiutare completamente in un episodio, ma non farà mancare tutta quanta la sua assistenza anche in quello successivo. E qui di ispirazione ce n’è parecchia, nella cascata di melodie brillantissime, nelle canzoni tutte ben centrate senza mai risultare troppo impostate, nella fluidità del disco nel suo complesso, che mantiene una notevole spigliatezza in ogni momento, qualunque suono, ritmo o sensazione lo caratterizzino.
Senza idee che la concretizzano l’ispirazione in sé stessa può non bastare, ma se manca lei si potranno avere un sacco di buone idee ma non si riuscirà mai a proporle in maniera totalmente convincente. Con questo disco si può godere di quanto è bello quando ad una band non mancano né l’una, né le altre.
:: Tracklist ::
01. Notice
02. See The World
03. How We Operate
04. Hamoa Beach
05. Girlshapedlovedrug
06. Chasing Ghosts With Alcohol
07. Tear Your Love Apart
08. Charley Patton Songs
09. Woman! Man!
10. All Too Much
11. Cry On Demand
12. Don't Make Me Laugh
Componenti del gruppo:
Ben Ottewell - Vocals
GuitarIan Ball - Vocals/Guitar/Bass
Tom Gray - Vocals/Guitar/Bass/Keyboards
Paul "Blackie" Blackburn - Bass/Guitar
Olly Peacock - Drums/Percussion
Dajon Everett - Percussion/Keyboards

THE SEWERGROOVES - Rock'n'roll receiver (2006)


I Sewergrooves posso essere considerati a pieno titolo dei veterani della scena rock grazie ad un’attività decennale alle spalle. Provenienti dalla Svezia, patria storica di diversi gruppi hard-rock, ancora poco conosciuti in Italia, i quattro musicisti miscelano il rock classico dei Rolling Stones con un pizzico di stoner. Segnatevi perciò questo nome, i Sewergrooves: magari non andranno da nessuna parte (questo è il quinto album) ma al rock' n' roll danno sicuramente del tu. Questi quattro ragazzi di Stoccolma che hanno un debole per i capelli lunghi, le braghe a zampa e i riff al fulmicotone targati anni '70. Insomma, it's only rock'n'roll but we like it.


Tracklist:
1- She's a Punk (just for one day)
2- This Time I Know
3- Rock 'N' Roll Receiver
4-Remember Everything
5- That Woman She's a Dead Woman
6- Going To Be Nothing
7- Wrote This Song For You
8- Keep It Coming
9- I Sold My Soul For Rock 'N' Roll, So Help Me
10- Save Me Lord


KURT DRÄCKES Lead guitar and lead vocals
ANDREAS BROMAN Bass guitar and backing vocals
PACKE WAHLQVIST Rhythm guitar and backing vocals
FREDRIK HARTELIUS Drums


giovedì 24 maggio 2007

STATO SOVRANO


George chi? A Kabul bottarella d'orgoglio
«Rispondo solo al parlamento»: un D'Alema piccato replica alle richieste di Bush a «condividere gli oneri e i rischi» della guerra in Afghanistan.
La giornata di D'Alema in Pakistan, seconda tappa del suo breve viaggio asiatico, è quella delle puntualizzazioni. Il contingente italiano in Afghanistan «si muove sulla base delle decisioni» del parlamento, dice D'Alema rispondendo al presidente americano Bush che il giorno prima aveva invitato gli alleati a fare di più. Decisioni di un parlamento sovrano, specifica il titolare della Farnesina e «non di altri». Di più: l'Italia non deve rispondere «a nessuno», se non al Parlamento della Repubblica. «Condividere gli oneri e i rischi» della guerra, come chiede Bush, ottiene dunque la risposta che già Prodi e Parisi avevano dato interpellati sulle regole d'ingaggio della nostra missione afghana. Ma D'Alema lo ribadisce da Islamabad e dopo il suo incontro con Karzai. Dichiarazioni che rimbalzano rapidamente in Italia raccogliendo il plauso di Verdi, Pdci e Rifondazione che vi leggono l'affrancamento dalla sudditanza che ha caratterizzato il governo Berlusconi. Quanto al rapporto diretto con gli americani, il titolare degli esteri chiarisce che di eventuali richieste della Casa Bianca, non nuove per altro, si parlerà il prossimo 9 giugno, quando Bush sbarcherà a Roma per la prima visita ufficiale dall'insediamento del governo Prodi: «Se il presidente Bush vorrà chiedere qualcosa lo farà personalmente, non attraverso i giornalisti». Gli occhi restano puntati dunque su quell'appuntamento attorno a cui D'Alema, con le dichiarazioni di ieri, sembra aver voluto piantare qualche paletto.

Era ora!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Qualcuno spieghi a Berlusconi il significato di Stato Sovrano

MAXIMO PARK - Our Earthly Pleasures (2007)


E’ come se fra i massimi protagonisti della scena indie-pop britannica si fosse scatenata una specie di gara, alimentata da un sano spirito di competizione. Si fa più urgente la consapevolezza che un buon disco, in un panorama saturo di sollecitazioni come quello attuale, non basti più. Specie in Inghilterra, dove già al secondo album si rischia di sembrare pronti per la pensione. Consci del rischio, i Maximo Park hanno tirato fuori gli attributi e, laddove nel primo disco vivevano della rendita montata ad arte dai media, qui dimostrano di saper mettere sul piatto anche la consistenza di un guitar-pop adrenalinico e saturo di elettricità, denso di colte sollecitazioni intellettuali, di geometriche costruzioni musicali e di un’accessibilità melodica sempre ribollente di idee. Sembrano dei Devo da provincia inglese, appena corretti dal romanticismo bohemien alla Smiths: ma quel che rende vincente Our Earthly Pleasures è la qualità delle sue 12 canzoni, quasi tutte convincenti e spesso assolutamente irresistibili come nel caso di Girls Who Play Guitars e Our Velocity.


Tracklist:
1. Girls Who Play Guitars
2. Our Velocity
3. Books From Boxes
4. Russian Literature
5. Karaoke Plays
6. Your Urge
7. Unshockable
8. By The Monument
9. Nosebleed
10. Fortnight's Time
11. Sandblasted And Set Free
12. Parisian Skies


PROTAGONISTI: Tom English (batteria), Duncan Lloyd (chitarre), Paul Smith (voce), Archis Tiku (basso), Lukas Wooller (tastiere)

THE DOITS - This is rocket science (2005)


Questi quattro rockettari da Stocolma ci propongono un sano rock 'n roll molto simile alle ultime uscite dei ben più blasonati Hardcore Superstar, allegro e scanzonato come vuole la tradizione, suonato con convinzione e mordente tale da rendere un disco rock degno di questo nome. La prima traccia e in generale le prime canzoni sono quelle maggiormente valide e convincenti, c'è l'armonica, una voce sufficientemente "sporca" - anche se a mio parere troppo punk per questo genere - chitarre e quei bei riff che richiamano i mostri sacri Ac/Dc, Rolling Stones, ma anche Motorhead e volendo ampliare il raggio anche i giovani Hellacopters; il tutto per altro condito da una produzione di tutto rispetto che valorizza tutto ciò che conta in un disco rock. This Is Rocket Science ha un grosso pregio: è sincero, onesto. Qui non troverete artisti metafisici, grandi cause o spiccata originalità, ma solo incadescente e robusto rock'n'roll di matrice svedese. I migliori pezzi: Never again, brano con un riff di chitarra davvero ottimo; Rendezvous with the devil, ballata rock di grande impatto ed Hey rebel, incisivo il riff iniziale. Insomma, questo This Is Rocket Science è un buon disco di sano rock'n'roll: se amate il genere, un ascolto potrebbe non farvi male.

TrackListing
1. SOME KIND OF MOTION
2. MOVIN'ON
3. NEVER AGAIN
4. ONE MORE DAY
5. HOLD ME DOWN
6. RENDER VUOUS WITH THE DEVIL
7. THIS GIRL
8. CALM WATERS
9. SOMETHING'S GOT A HOLD ON ME
10. HEY REBEL
11. U.G.L.Y.
12. GOT MY AIM ON YOU

Componenti del gruppo:
Altay-guitar/vocals
David-bass
Anders-guitar
Tero-drums

IDLEWILD - Make another world (2007)


di Paolo Stabile

Fin dalle primissime note di "In Competition For The Worst Time", brano d'apertura di questo nuovo capitolo della band scozzese, si intuisce che qualcosa è cambiato rispetto al precedente passo falso di Warning:Promises (2005). "Make Another World" riacquista finalmente quella verve e quella carica tipica dei gruppi all'esordio discografico, bilanciandola sapientemente con una buona dose di maturità acquisita nei dieci (sì, sono già dieci!) anni di militanza nel foltissimo mondo dell'indie rock. Una gavetta che sembra non finire mai per un gruppo che meriterebbe sicuramente qualche considerazione in più. Che qualcosa stava cambiando lo si poteva già percepire ascoltando il primo singolo estratto "If It Takes You Home", un poderoso concentrato di distorsione e melodia, potenza e stile. Davvero irresistibile. Il resto del disco rimane comunque su standard piuttosto elevati, riuscendo ad offrire quel sound che li ha resi noti (sempre nell'ambito underground) in dischi memorabili come 100 Broken Windows e The Remote Part. Gli ingredienti rimangono sempre gli stessi: prendete i R.e.m., caricateli di distorsioni ruvide e aggressive che a Stipe e soci mancano da ormai troppo tempo, aggiungeteci una dote fuori dal comune nel scrivere canzoni pop rock , una buona dose di personalità e sfrontatezza e la ricetta è fatta. Il disco scorre via davvero molto bene dalla prima all'ultima traccia, riuscendo ad alternare momenti più "ruvidi" (il sopracitato singolo e la trascinante “Everything” sono un bell'esempio) ad altri invece più "riflessivi" (“Future Works”, “Once In Your Life” su tutte) dove, man mano che passano gli anni, la somiglianza al celebre gruppo di Athens diventa sempre più evidente. Punto di forza di questo lavoro è sicuramente la sua breve durata. Non c'è un minuto superfluo, non una caduta di stile, non un calo d'ispirazione, trentacinque minuti intensi e soprattutto "sentiti". C'è persino lo spazio per un singolo ruffiano quanto basta come "No Emotion" possibile futura hit dell'anno in corso. Questo 2007 ci riconsegna quindi un gruppo decisamente in forma, forse non ai livelli irraggiungibili di 100 broken windows che rimane il loro miglior disco, ma comunque di tutto rispetto. Un gruppo che è riuscito a superare indenne l'evidente calo creativo del precedente lavoro e a scacciar via senza appello i fantasmi del capolinea definitivo. Dieci anni sono passati dal primo singolo "Queen Of The Troubled Teens" uscito nel marzo del 1997. Difficile immaginare un modo migliore per festeggiare...

Tracklist:
In Competition For The Worst Time
Everything ( As It Moves )
No Emotion
Make Another World
If It Takes You Home
Future Works
You And I Are Both Away
A Ghost In The Arcade
Once In Your Life
Finished It Remains

PROTAGONISTI:
Roddy Woomble (vocals)
Rod Jones (chitarra, voce)
Allan Stewart (chitarra)
Gareth Russell (basso)
Colin Newton (batteria).

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THE PONYS - Turn the lights out (2007)


di Marco Biasio
Turn The Lights Out, ovvero: come omaggiare un trentennale di rock, ponendo con vigore l’accento sulle desinenze garage, senza correre il pericolo di scadere nell’assurdo o nel ridicolo.
Sono in quattro (Jered Gummere, voce e chitarra elettrica: Melissa Elias, voce e basso; Ian Adams, chitarra elettrica e tastiera; Nathan Jerde, batteria), vengono da Chicago, hanno un nome un po’ bizzarro e, con esso, già due dischi alle spalle (“Laced With Romance” del 2004 e “Celebration Castle” del 2005). Nel 2006 una major, la Matador, si accorge di loro, e li mette sotto contratto, essendo a conoscenza del grande successo ottenuto nel circuito indie. Fine delle buone notizie? Affatto: con questo “Turn The Lights Out” i Ponys mettono a tacere tutte le indiscrezioni che li davano per venduti al mainstream, sparando un’ennesima serie di ottime cartucce di post punk, talvolta ingentilite da inserti pop, talvolta sporcate da macchie di garage cattivo e ben poco ruffiano. Con la sensazione di non avere ancora finito. “Turn The Lights Out” è uno dei migliori album che siano usciti, fino ad ora, sul mercato discografico, nel 2007. Una bella rivincita per una band con ancora tanto da dire e da dimostrare. Alla faccia di chi se li prospettava stancamente mainstream.
tracklist:
1. Double Vision
2. Everyday Weapon
3. Small Talk
4. Turn The Lights Out
5. 1209 Seminary
6. Shine
7. Kingdom Of Hearts
8. Poser Psychotic
9. Exile On My Street
10. Harakiri
11. Maybe I'll Try
12. Pickpocket Song

mercoledì 23 maggio 2007

HEARTLESS BASTARDS - All this time (2006)


Power trio garage-rock formatosi nel 2003 a Cincinnati, Ohio. Si distinguono per la notevole voce della leader Erika Wennerstrom. Con questo secondo album sembrerebbero aver abbandonato i riferimenti più espliciti al fantasma di Patti Smith per duellare con un roots rock che non perde a dadi con il rimasticamento dei 70’s.


Tracklist:


1 Into the Open 4:24
2 Searching for the Ghost 3:45
3 Finding Solutions 3:33
4 All This Time 3:06
5 Brazen 3:16
6 I Swallowed a Dragonfly 4:04
7 Blue Day 4:48
8 Valley of Debris 4:17
9 No Pointing Arrows 2:38
10 Came a Long Way 5:53


THE LONG BLONDES - Someone to drive you home (2006)


Band nata nel 2003 a Sheffield il quintetto (per tre quarti al femminile) guidato dalla sardonica lead singer Kate Jackson ha soprattutto un pregio, un grande pregio: è il gruppo giusto al momento giusto, nel look, nel sound, nell’attitudine. Non inventano nulla, non eccedono in nulla, ma suonano perfettamente quello che ogni avventore di qualunque dancefloor indie del globo vorrebbe sentire. Franz Ferdinand prima maniera, Pulp, Raveonettes, scorie di garage punk e art rock, Le Tigre, The Rakes, The Dogs, Yeah Yeah Yeahs, condito da un appeal tremendamente “cool & sexy” e una carica pop che accompagna segretamente ogni pezzo. L'album, anche dopo ripetuti ascolti, non smette di ammaliare, sia per l'intelligenza, la prontezza e la scaltrezza pop, sia per la qualità della scrittura lirica e musicale, di levatura decisamente superiore nel panorama dell'indie-pop "tendente al mainstream" di casa in Gran Bretagna. I Long Blondes sanno fino all'osso di successo, anche se cantano di delusioni, ricatti emotivi e frustrazioni sentimentali: non tanto il successo commerciale al quale (evidentemente) aspirano, ma soprattutto il successo di aver reinventato con personalità e occhio contemporaneo un drama-pop di caratura elevata. Erano anni che aspettavamo.


PROTAGONISTI: Kate Jackson (voce), Dorian Cox (chitarra), Emma Chaplin (chitarra e tastiere), Reenie Hollis (basso), Screech Louder (batteria).


TRACKLIST:

1.Lust In The Movies
2.Once And Never Again
3.Only Lovers Left Alive
4.Giddy Stratospheres
5.In The Company Of Women
6.Heaven Help The New Girl
7.Separated By Motorways
8.You Could Have Both
9.Swallow Tattoo
10.Weekend Without Makeup
11.Madame Ray
12.A Knife For The Girls


THE VIEW - Hats Off To The Buskers (2007)


Sulla scia di Arctic Monkeys, The Kooks ed altri alfieri del nuovo rock, ecco un'altra giovanissima band proveniente da Dundee, Scozia. Prodotti da Sir Owen Morris e già etichettati come la next big thing dal NME, sono l'altro esempio odierno più evidente di come il sound dei Libertines ha parecchio influenzato diverse giovani band indie odierne. Il disco scorre piacevolmente con episodi molto azzeccati (Street Lights è bellissima e Dance Into The Night è irrestibile), ballad acustiche (Face For The Radio) e richiami spudorati al duo Doherty/Barat (Skag Trendy e Gran's For The Tea). Non ci troviamo di fronte ad alcuni salvatori del rock per carità, ma a più che apprazzabili manovali dell'indie-rock sì. In sintesi disco fresco, vitale, britannico fino al midollo, ma ancora troppo acerbo. Diamo loro il tempo di crescere.

PROTAGONISTI: Quattro ragazzini scozzesi residenti a Dundee: Kyle Falconer (voce), Pete Reilly (chitarra), Kieren Webster (basso), Steve Morrison (batteria). E' d'obbligo segnalare un produttore illustre come Owen Morris (storico produttore degli Oasis).

:: Tracklist ::
01. Comin' Down
02. Superstar Tradesman
03. Same Jeans
04. Don't Tell Me
05. Skag Trendy
06. The Don
07. Face For The Radio
08. Wasted Little DJ's
09. Gran's For Tea
10. Dance Into The Night
11. Claudia
12. Streetlights
13. Wasteland
14. Typical Time


THE BLACK ANGELS - Passover (2006)



Nelle note di copertina si definiscono "Native American Drone'N'Roll, provengono da Austin, sono in 6 e autori di un grande sound psichedelico. I loro numi tutelari si chiamano Velvet Underground, 13th Floor Elevators, Brian Jonestown Massacre.
Encomiabile l'abilità di questi 6 giovinastri nel forgiare un suono monolitico che dona
uniformità d'intenti invidiabile a questa prima prova. Difficile estrapolarne i brani migliori, il livello medio è eccelso, e gli scarti qualitativi minimi. Di sicuro impatto "First Vietnamese War", che parte dal Vietnam e arriva all'odierna guerra in Iraq, avvalendosi di una chitarra elicottero e un'inquietante sottofondo d'organo. Da citare anche l'andamento indiano con cantato declamatorio alla Julian Cope di "Manipulation", o l'armonica blues, con strani rimandi a gruppi come gli Opal, di "Bloodhounds On My Trails". Ad ammantare il tutto di un'aura austera e aliena contribuiscono non poco la voce del cantante Alex Maas, versione maschile della prima Nico, e il drumming minimale alla Maureen Tucker; emblematiche in questo senso "Empire" e "Sniper At The Gates Of Heaven". E poco importa se il giro iniziale di "Prodigal Sun" ricorda fin troppo "Brainstorm" degli Hawkwind, di carne al fuoco i ragazzi ne mettono tanta e tutta di ottima qualità, segno che nei 60's di Musica Geneticamente Modificata non ve ne era ancora fortunatamente traccia.

Tracklist:
Young Men Dead
The First Vietnamese War
The Sniper at the Gates Of Heaven
The Prodigal Sun
Black Grease
Manipulation
Empire
Better Off Alone
Bloodhounds on My Trail
Call to Arms

Componenti del gruppo:
Christian Bland
Alex Maas
Stephanie Bailey
Jennifer Raines
Nate Ryan
Kyle Hunt

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martedì 22 maggio 2007

CON L'ALTRA AMERICA FERMIAMO LE GUERRE DI BUSH


Sabato 9 giugno George W. Bush sarà a Roma. Il G8 di Rostock in Germania sarà appena finito. Ancora una volta i potenti si incontrano in una sede illegittima per decidere le sorti del mondo circondati dalla protesta di cittadini e popoli che in tutto il pianeta chiedono diritti, democrazia, giustizia globale e pace. Negli anni della sua presidenza Bush con i suoi alleati ha fatto enormi disastri che il mondo intero sta pagando a caro prezzo. Ha fatto guerra alla pace e al diritto internazionale inventando la teoria della guerra preventiva e permanente, occupando militarmente l'Afghanistan e l'Iraq, seminando morte e distruzione fra le popolazioni civili, fomentando crisi regionali, praticando embarghi. Basta con le guerre. Via tutti gli occupanti.Ha fatto guerra alla convivenza pacifica ponendosi a capo della crociata occidentale contro il mondo islamico, fomentando tutti gli integralismi e ponendo il mondo a rischio dello scontro di civiltà con il riarmo, l'aumento delle spese militari, la militarizzazione, anche dello spazio.Disarmo e incontro di civiltà per uscire da questo disastro.Ha fatto guerra alla pace in Medio Oriente sostenendo la politica unilaterale di Israele calpestando il diritto internazionale che condanna il Muro, le colonie e l'occupazione che dura da 40 anniBasta occupazione e muro; diritti e uno stato sovrano per i palestinesi. Due stati per due popoli.Ha fatto guerra alla democrazia riducendo in nome della lotta al terrorismo i diritti individuali e collettivi, legittimando la detenzione illegale, i rapimenti, l'uso della tortura e continuando a usare la pena di morte.Basta crimini contro l'umanità.Ha fatto guerra alla giustizia imponendo al mondo il liberismo economico e aumentando le disuguaglianze impoverendo miliardi di persone nei paesi del nord e del sud arricchendo le multinazionali e i poteri fortiBasta con lo strapotere economico e della finanza internazionale; rapporti paritari nord-sud. Ha fatto guerra all'uguaglianza facendo di ogni migrante un pericolo per la sicurezza consolidando il muro della morte che separa Stati uniti e Messico rifiutando di firmare la Convenzione Onu sulla diversità culturale che tutela il patrimonio e le espressioni culturali dei popoli del mondoTutti i diritti umani per tutti e tutte.Ha fatto guerra al mondo intero rifiutandosi di firmare il protocollo di Kioto aggravando la catastrofe ambientale e il cambiamento di clima che mette a rischio il futuro di tutti.Proteggiamo l'unica terra che abbiamo! L'italia e l'Europa devono agire in autonomia contro la logica del dominio e della guerra: diciamo no alla base Dal Molin, alle basi Usa, alla militarizzazione, alle armi nucleari, agli F35, allo scudo missilistico. Vogliamo verità e giustizia per Nicola Calipari; vogliamo libertà per Hanefi; che Emergency possa tornare in Afghanistan! Siamo con gli statunitensi che contestano ogni giorno le politiche liberiste e neo-con. Siamo con tutti coloro che costruiscono un'alternativa per un mondo diverso, per vivere in pace. Per tutto questo abbiamo abbiamo indetto una manifestazione nazionale a Roma, per le ore 15.00.
Per adesioni: nobush2007@tiscali.it
***Promuovono: Arci, Ass. per la pace, Donne in nero, Fiom-Cgil, Forum ambientalista, Lavoro e società-Cgil, Legambiente, Libera, Lunaria, Ics, Un Ponte per, Statunitensi per la pace e la giustizia Roma, Com. Fermiamo la guerra Firenze, Statunitensi contro la guerra Firenze, Udu, Uds, Transform!Italia,

Un'altra banca mondiale

Le banche italiane hanno preso in parola l'invito secco del governatore di Bankitalia, Mario Draghi, di fondersi per rafforzare la loro posizione. 17 mesi dopo quella esortazione e dopo la prima grande fusione Intesa San Paolo, oggi tocca ad altri quattro istituti, diversi per peso ma tutti di lunga storia.Tra Roma e Milano convoleranno a nozze Unicredit e Capitalia. Una fusione che darà vita alla sesta banca a livello mondiale, la seconda in Europa e la prima in Italia, con una capitalizzazione di poco inferiore ai 100 miliardi di euro. Secondo le indiscrezioni piu' accreditate, il concambio sarà di 1,12 azioni Unicredit per ogni Capitalia, con sinergie di 1,163 miliardi in tre anni (800 milioni da risparmi di costo e 400 da ricavi) e l'eps (utile per azione) del 17% fra 2007 e il 2009. E ancora novemila sportelli divisi in tre marchi operativi, una presenza che copre capillarmente l'intero paese (Capitalia è fortemente presente più nel centro sud, Unicredit nel nord) e arriva fino in Germania, dove Unicredit ha già conquistato la tedesca Hpv.Una fusione così importante avrà ripercussioni sul sistema di poteri finanziari del paese,. L'attuale presidente di Capitalia Cesare Geronzi diventerà vicepresidente nel nuovo gruppo ma successivamente salire, grazie a questo operazione, fin su alla presidenza di Mediobanca, di cui Unicredit e Capitalia sono oggi importanti azionisti.Quanto alle partecipazioni, infatti, i due colossi si presentano con un aggregato pari al 18% in Mediobanca, destinato a ridursi di circa la metà per tener conto del nuovo bilanciamento dei poteri. Insieme, Unicredit e Capitalia controlleranno anche il 22% di Banca d'Italia, quasi il 20% di Borsa Italiana, oltre il 6,4% di Generali, il 2,1% di Rcs (è la quota di Capitalia, perché Unicredit aveva ceduto la sua partecipazione qualche anno fa).La mega-fusione spiace soltanto a Intesa San Paolo, cosa che tuttavia non dovrebbe significare una dichiarazione di guerra. In questo quadro, la vigilanza del governatore di Bankitalia è ovviamente delicata. «C'è bisogno di un insediamento bancario importante in città, non dico il trasferimento della holding da Milano, ma una forte presenza a Roma», è stato l'auspicio del sindaco della Capitale Walter Veltroni che, a margine di un'iniziativa in una scuola romana, ha così commentato l'annunciata fusione, dando la sua benedizione dopo quella di Romano Prodi e Tommaso Padoa Shioppa.
E così, mentre tutti brindano al nuovo polo bancario l'A.D. Geronzi non solo resterà impunito x il crack Parmalat (ne è uno dei principali imputati e recentemente ha dichiarato che il processo "non lo preoccupa") ma diventerà con ogni probabilità uno dei più potenti uomini al mondo. Intanto i poveri correntisti continueranno a pagare le spese bancarie più alte d'Europa e la classe interinale continuerà a non avere accesso ad alcun finanziamento. Questi sono temi che dovrebbero indignare e far scendere in piazza chiunque. In Italia invece continuiamo a guardare inebetiti, felici e contenti programmi spazzatura come 1-2-3 stalla e non alziamo un dito contro le ingiustizie.

Collegamenti:
Parmalat/Geronzi

THE WARLOCKS - Surgery (2005)


Grazie al cielo esistono ancora gruppi come i Warlocks. Gente per cui il rock è ancora libero da vincoli e costrizioni di ogni sorta; gente per cui il music business è qualcosa di lontano, un rumore di fondo che raramente viene percepito all’interno delle proprie elucubrazioni tossiche. Esiste una borghesia musicale che ha sempre creduto che qualsiasi passo avanti fosse meglio del passato, che qualsiasi evoluzione cassasse di conseguenza quella precedente. Se ragionassimo così, i Warlocks farebbero schifo. ”Surgery” è un pastiche caleidoscopico, un calderone da rito sabbatico in cui sono stati gettati Grateful Dead, Jesus and Mary Chain, Velvet Underground, Spacemen 3, My Bloody Valentine mescolati ben bene fino a dar vita ad un infuso denso e gustoso: i Warlocks appunto.
Surgery riprende il discorso dove il precedente Phoenix lo aveva interrotto: ovvero dal wall of sound invischiato di sostanze psicotrope di Come Save Us. A partire dal secondo brano, però, i nostri sembrano privilegiare l’aspetto melodico rispetto all’assalto all’arma bianca. It's Just Like Surgery sfodera un ritornello irresistibile dilaniato da chitarre urticanti. Un connubio rumore-melodia confezionato secondo la ricetta dei fratelli Reid.
Per tutto il resto dell’album il gruppo adotta il passo lento e suggestivo della ballata floreale, corrosa da suoni al vetriolo. In Angels In Heaven, Angels In Hell sembra di ascoltare un Donovan brutalizzato dalle distorsioni del fuzz. Above Earth, con il suo cantato allucinato, è la degna prosecuzione della dolcissima Baby Blue, una canzone che da sola vale il prezzo del biglietto. Nel finale la jam rumorista Suicide Note riporta l’astronave Warlocks negli spazi stellari, al termine di un viaggio affascinante e, soprattutto, necessario. Benché Surgery sia il parto di menti alterate da sostanze dopanti, resta un antidoto ideale alla tossicità delle mode usa e getta.






THE RIFLES - No love lost (2006)


Per gli amanti dei Franz Ferdinand il consiglio è quello di tuffarsi a capofitto dentro "No Love Lost" dei Rifles. Davvero un buon esordio, tirato e con melodie ben "calibrate". I veri punti di riferimento di questo quartetto inglese sono evidenti persino per un sordo: si chiamano Weller, Buckler & Foxton. I richiami ai Jam (con un po’ di Clash di contorno) sono talmente sfacciati da farli risultare adorabili, e in fondo dichiarare subito le proprie ascendenze è una componente del più classico orgoglio proletario da ragazzo di periferia. I fighetti indie-snob vadano a pascolare le loro anemiche esistenze da altre parti: qui si beve birra scura, si canta tutti assieme in curva e al sabato si va in centro con le Fred Perry appena stirate a comprare dischi: roba ballabile, rock’n’roll, punk, stradaiola e melodica. Proprio come i Rifles. Secondo me, uno dei migliori dischi del 2006


Track listing:
She’s Got Standards
Local Boy
Home Town Blues
Robin Hood
She’s The Only One
One Night Stand
Peace And Quiet
Spend A Life Time
Repeated Offender
When I’m Alone
Narrow Minded Social Club


Componenti del gruppo:
Joel Stoker,Lucus Crowther,Rob Pyne,Grant Marsh.
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lunedì 21 maggio 2007

THE BITTERSWEETS - The life you always wanted (2006)


Gruppo di Oakland che si rifa alla lezione di Cowboy Junkies, Over The Rhine e Jayhawks. A volte però gli allievi superano i maestri ed ecco allora a voi un disco passato praticamente inosservato fatto di atmosfere rarefatte tra rock, country e jazz di superba fattura.

Componenti del gruppo:
Steve Bowman - drums
Jerry Becker - keys, guitars, etc.
Chris Meyers - vocals, guitars, keys
Hannah Prater - vocals, acoustic guitar
Daniel Schacht - bass

TRACK LISTING:

01. When The World Ends
02. Adam
03. Bag Of Bones
04. Long Day
05. Houston
06. Mostly Happy People
07. Burn Out My Eyes
08. Shooting Out The Sky
09. Rapture
10. Prison
11. And Death Shall Have No Dominion
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THE EXPLODING BOY - The Exploding Boy (2007)



Dalla Svezia un'altra grande Band. Seppur cloni dei Cure (The exploding Boy è infatti il titolo di una nota canzone della band di Robert Smith) presentano un sound fresco e brillante. Non hanno inventato niente ma rispetto a gente ben più famosa come gli Editors, questi sono di tutt'altra pasta. Grande album.

The Exploding Boy are:
Johan Sjöblom: Vocals / Rhythm guitar
Lars “Les” Andersson: Lead guitar
Stefan Axell: Rhythm guitar / Background vocals
Mario Gonzalez: Bass / Background vocals
Nicklas Isgren: KeyboardsTord Karlsson: Drums

Tracklist:
1. Dazed
2. Better than fine
3. Shot down
4. It's over
5. Without me
6. Cold things start to burn
7. Dust
8. Show you me
9. What else is new
10. Go away

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BERLUSCA SANTO SUBITO


Durante il suo tour a sostegno dei candidati della "casa delle libertà negate" Berlusconi ha dichiarato: "Alcune donne incinte mi hanno chiesto di toccar loro la pancia". Tra non molto ci chiederà di sostituire i crocifissi nelle scuole italiane con la sua effige: SANTO SUBITO, SANTO SUBITO.....ancor prima di Wojtyla.

venerdì 18 maggio 2007

BLACK REBEL MOTORCYCLE CLUB - Baby 81 (2007)


Per il mio primo post musicale ho scelto quello che, secondo me, è il miglior album rock pubblicato finora nel 2007. Di seguito la recensione di Ondarock.it.

Dopo le delizie slide di "Howl", i Black Rebel Motorcycle Club hanno riportato i cavalli nella stalla e son tornati a inforcare le care vecchie Harley Davidson, con le quali hanno ripreso a scorrazzare sicuri per le immense e assolate praterie americane.Si torna così a respirare elettricità, sudore e polvere dai solchi della band capitanata da Peter Hayes, che per l’occasione ha deciso di reintegrare nella formazione Nick Jago, nuovamente al suo posto dietro la batteria. La band californiana torna a proporre sonorità più vicine ai due primi dischi, anche se questo "Baby 81" si contraddistingue per essere il loro lavoro più completo e ricco di sfaccettature, una ideale summa dei tre precedenti.I Black Rebel vogliono dimostrare di non avere nulla da invidiare rispetto alle altre band che condivisero la stessa nidiata a inizio decennio, e che i "cugini" Strokes e White Stripes hanno avuto più successo di loro soltanto perché più fottutamente trendy.Il brano di apertura "Took Out A Loan" è quello che più si riallaccia agli esordi del gruppo, un modo per dire "eccoci, siamo tornati, vivi e vegeti, e vi faremo vedere chi siamo".Continuano a essere la band che meglio riesce a interpretare e rappresentare il tipico garage-sound, nel senso che sembra proprio di sentirli suonare... in una cantina. Suonano come suonerebbero gli Stones se esordissero oggi ("Berlin"), senza disdegnare inni che farebbero impazzire stadi interi ("Weapon Of Choice", il primo singolo estratto, e "Need Some Air", due pezzi da cantare a squarciagola). Capaci sempre di comporre melodie che ti si appiccicano addosso ("Window") e di avvicinarsi miracolosamente a suoni grunge mai sperimentati prima d’ora (ascoltare per credere il ritornello simil-Nirvana di "Cold Wind"), di sviluppare momenti volutamente ai limiti del disimpegno musicale ("Not What You Wanted"), ma anche di rasentare la spiritualità (l’intro di "All You Do Is Talk").Gli unici momenti che si avvicinano a "Howl" sono rintracciabili in "666 Conducer", nel falsetto di "Killing The Light", e nella conclusiva "Am I Only". Ma il momento in cui i Black Rebel si spingono più in là risiede nei nove e passa minuti del trionfo lisergico-psichedelico di "American X", la più lunga composizione della loro carriera, con una parte centrale da urlo.Qualcuno dirà che i nostri sembrano di nuovo dei cloni dei Jesus & Mary Chain, ma in realtà qui lo shoegazing del primo disco è ben mediato con una sana e ormai esperta attitudine rock’n’roll e con l’animo roots sviluppato nel disco precedente."Baby 81" è un disco sincero, senza sbandamenti, si viaggia a tutta velocità, tenendo bene le curve; un disco "sostanzioso", senza riempitivi e con una manciata di canzoni riuscite. E’ solo rock’n’roll, ma ci piace dannatamente.

Tracklist:
1. Took Out A Loan
2. Berlin
3. Weapon Of Choice
4. Window
5. Cold Wind
6. Not What You Wanted
7. 666 Conducer
8. All You Do Is Talk
9. Lien On Your Dreams
10. Need Some Air
11. Killing The Light
12. American X
13. Am I Only
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i miei tesori


Ciao amici, è il mio primo post e non posso che dedicarlo ai miei tesori