martedì 30 novembre 2010
IO DICO NO - 30 novembre: Giornata Mondiale contro la pena di morte
Oggi si celebra l’ottava Giornata mondiale contro la pena di morte, quest’anno dedicata alla pena capitale negli Stati Uniti, dove dall’inizio dell’anno sono stati condannati 41 prigionieri e altri 3200 aspettano, nel braccio della morte, che la sentenza venga eseguita.
In tutto il mondo Amnesty International, insieme ad altre associazioni non governative, propone una serie di iniziative perché si arrivi al più presto ad una moratoria internazionale che porti all’abolizione della pena di morte.
Mappa della legislazione sulla pena di morte di tutti i Paesi
Negli ultimi dieci anni il trend è stato positivo, con una diminuzione dei paesi mantenitori che nel 2007 erano 49. Nel 2009 il primato delle condanne capitali eseguite spetta nell’ordine a Cina – intorno alle 5000 esecuzioni – Iran e Iraq, Paesi che permettono all’Asia di essere il continente in cui si concentra la quasi totalità delle condanne.
Per quanto riguarda l’Africa, i 50 Paesi che nel 2009 hanno partecipato alla conferenza sulla pena di morte organizzata dalla Commissione africana per i diritti umani e dei popoli, hanno fatto unanime richiesta a tutti gli stati africani di abolire la pena di morte e di adottare un protocollo alla Carta Africana sui Diritti Umani e dei Popoli sull’abolizione della pena capitale in Africa.
L’unica eccezione in Europa è rappresentata dalla Bielorussia, sollecitata dall’Osce ad adottare quanto prima una moratoria sulle esecuzioni. Il Kazakistan e la Lettonia sono stati invitati a modificare la propria legislazione che prevede ancora la pena di morte per certi reati.
La situazione delle Americhe subisce il peso degli Usa, dove la pena di morte è ampiamente diffusa e dove nel 2009 sono state giustiziate 54 persone.
I METODI - Nel corso della storia sono stati diversi i metodi utilizzati per eseguire la sentenza di morte: dalla ghigliottina alla garrota, fino ad arrivare alle modalità tutt’ora previste da molti Stati.
Sedia elettrica
Negli Usa, 10 stati prevedono l’uso della sedia elettrica, su cui da anni si dibatte sia a causa del lungo periodo di tempo – tra i 10 ed i 15 minuti – necessario affinché il condannato muoia, manche per la risposta molto violenta e incontrollata del corpo all’alto voltaggio somministrato. Usata “solo” 31 volte, di cui l’ultima nel 1999, la camera a gas, sfrutta l’asfissia indotta dal gas cianuro e che conduce alla perdita di conoscenza a cui segue la morte. Tre stati lo Utah, l’Oklahoma e l’Idaho prevedono la fucilazione, eseguita da cinque uomini a schiera. Il metodo più usato è comunque l’iniezione letale, introdotta in Texas nel 1977 e da allora usata in quasi i tre quarti delle esecuzioni, anche perché è il metodo riconosciuto sia dal governo federale che dalle forze armate.
A questi metodi si aggiunge la decapitazione, ancora diffusa in Arabia Saudita, l’impiccagione diffusa in Medio Oriente, ma per lungo tempo praticata anche negli Stati Uniti, insieme alla lapidazione: il condannato viene interrato – se si tratta di una donna fino alle ascelle, altrimenti fino alla vita – e i funzionari incaricati di eseguire la sentenza, ma anche semplici cittadini iniziano la lapidazione scagliando pietre, di dimensioni non troppo grandi, sul condannato fino al sopraggiungere di una morte dolorosissima.
IL DIBATTITO SUI METODI – Oltre al dibattito etico e morale sulla pena di morte, sono molte le polemiche sulle modalità di esecuzione delle sentenze, come nel caso dello studio condotto nel 2005 da alcuni ricercatori dell’Università di Miami che per primi sostennero la crudeltà dell’iniezione letale.
Negli ultimi tempi alla questione etica si è aggiunto il problema della scarsa reperibilità del Pentotal (sodio tiopentale), il barbiturico previsto da tutti i protocolli di iniezione letale negli Stati Uniti e che sembra scarseggiare in molti Stati che invece avrebbero già in programma diverse condanne a morte. Il motivo reale di questa penuria non è individuabile, ma la Haspira – gigante farmaceutico internazionale – ha dichiarato che «la ditta produce questo farmaco per migliorare o salvare una vita umana e che il suo uso va limitato esclusivamente alle indicazioni scritte sull’etichetta del farmaco, il quale non è indicato per la pena capitale». Diverse le conclusioni che è possibile trarre.
Anche la lapidazione è tra i metodi più contestati, e di certo più crudeli e bestiali, soprattutto perché divenuto un simbolo politico della lotta al Medio Oriente barbaro che per molti è conveniente mostrare.
Il punto fondamentale su cui si concentrano le polemiche è il tempo necessario a morire ed il dolore provocato al condannato. Verrebbe da pensare che forse la decapitazione rappresenta la soluzione più “civile”.
IL DIBATTITO SUI CONDANNATI – La certezza assoluta della colpevolezza si verifica in una percentuale bassissima di casi. Il National Institute of Mental Health ha denunciato che circa il 10% di tutti i detenuti nel braccio della morte statunitense è affetto da malattie mentali e in molti Paesi si è condannati per reati di fatto non oggettivamente definibili. La condanna a morte di una donna desta sempre più scalpore e più sdegno rispetto alla condanna di un uomo; in molti casi il colore della pelle è stato determinante per l’emissione della sentenza di morte. Il dibattito su tutti questi temi sarebbe inesauribile e porterebbe ad attingere ad una serie di argomenti strettamente correlati tra loro.
IL DIBATTITO ETICO - Per i convinti sostenitori della pena di morte, questa è la giusta punizione per chi si macchia di crimini gravi. Per chi lotta per l’abolizione sembra più una vendetta a freddo. In effetti non esistono prove che supportino l’effetto deterrente della pena capitale, servirebbe piuttosto un sistema di prevenzione del crimine. Da non dimenticare che anche i condannati hanno famiglia e amici, persone che sentono il peso della condanna e ne pagano le conseguenze.
Resta il fatto che la condanna a morte non può che essere vista come una violazione dei diritti umani. La strada per la totale abolizione della pena capitale sembra ancora lunga, ma la situazione si sta lentamente sbloccando, muovendosi verso posizioni abolizioniste.
Dopo l’affaire Sakineh-Teresa Lewis sembra sempre più urgente uniformarsi a regole condivise che arginino il più possibile la totale discrezionalità di ogni Stato in materia di punizione del crimine con la pena di morte
di Francesca Penza
http://www.wakeupnews.eu/
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